Ospedale abbandonato

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    Jerome si prese del tempo per digerire quelle parole oscure. Realtà esistenti, fatati, sogni, gli sembrava di sentire la trama di un film fantasy, ma in realtà non dubitava su nessun punto. Quell'essere no naveva motivo di mentirgli.

    Molto gentile signor Merope, ha in parte soddisfatto la mia curiosità, anche se certe informazioni rimarranno irraggiungibili per il sottoscritto.

    Si appoggiò allo schienale della sedia e cominciò a tambureggiare le dita sul tavolo.

    E se le rivelassi il motivo per cui i miei dipinti sono così permeati dalla morte? Se mi aprissi con lei, senza darle informazioni utili per una qualunque causa, ma soltanto offrendole una parte intima della mia vita, pensa che potrebbe essere una buona moneta di scambio per sapere qualcosa sul Vermiglio?
     
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    E' un'informazione che penso possa interessare più a Elettra, ma dimmi pure. Gliela rivenderò. Lo esortò, finendo al contempo il suo the. Ti dirò il vero nome del Vermiglio e del resto del Trittico. E l'argomento. Tintinnare dalla porcellana, intermezzo non voluto. Non altro.
     
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    Vede signor Merope, in realtà lei ha ragione quando dice che la nostra razza è banale, mi azzarderei a dire al pari dei mortali. Siamo l'altra faccia della stessa medaglia. Non so niente di reami, e ormai i sogni sono un lusso che non posso più permettermi.La morte mi ha ghermito, ma questo non è stato sufficente per esorcizzarla. Prese in mano la tazza di the e per un istante ebbe quasi la tentazione di assaggiarlo, poi però mise le mani giunte sul tavolo e si avvicinò a Merope con il viso, come se stesse per confidargli un segreto.

    Sono stato abbracciato un freddo venerdi di Settembre, lungo uno stretto viale nei pressi del Vieux Port di Marsiglia. Non avevo ricevuto avvisaglie dal mio sire, anche se avevo intuito la sua reale natura nel corso degli anni in cui mi fece da insegnante. Non gli chiesi mai nulla e in cambio lui mi offrì solo silenzi. Io sapevo cos'era e tra di noi ci fu semplicemente una tacita intesa. Ero semplicemente una persona segnata dall'immagine di mio fratello, morto dopo una lunga e terribile malattia e forse lui aveva annusato il mio tormento. Non ho mai avuto al mio fianco una persona che mi insegnasse la morale o mi desse consigli. I miei genitori non furono mai in grado di darmi affetto e non ho mai trovato un reale interesse verso alcun tipo di amicizia o rapporto sociale. Dopo la scomparsa di mio fratello, per me la vita non aveva altro da dirmi, ero interessato solo all'arte, a riuscire a rappresentare l'essenza della morte, forse se vuole anche il suo significato, per quanto non mi possa azzardare a dire di averlo compreso. Inutile dirle che l'empatia non era una qualità del mio sire. Lui mi disse semplicemente che quel dolore mi avrebbe aiutato a trovare l'ispirazione. Forse anche per questo mi portò con sè negli scuri meandri del mondo di tenebra: per guardare la morte da vicino e poterla ritrarre al meglio. Ciò che ancora oggi non ho capito, è perchè non mi abbia mai fatto da guida in quel mondo. Ma temo che la triste realtà sia che lui fosse semplicemente più tormentato di me e non avrebbe potuto darmi spiegazione alcuna. E così ho cominciato a tinteggiare forme e colori che incarnassero la cara vecchia mietitrice di anime: senza filtri o insensata esaltazione. Solo morte, in tutta la sua violenta e lucida semplicità. A volte ho la sensazione di essere più un ricercatore che un pittore, in tutta onestà.

    Appena detta l'ultima parola, tornò a poggiare le spalle sulla schiena e sospirò. Le mura dell'ospedale sembravano ancora più opprimenti di prima

    Mi auguro di non averla annoiata.
     
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    Porse orecchio, ascoltando la vita dell'altro in totale silenzio.

    Rimasero così, propensi l'uno all'altro, per quasi un minuto. Fu il sospiro del Fratello a rompere l'idillio e portare il Fatato ad allontanarsi di una spanna e prendere parola. No. Anche se mi chiedo perché non ti sia ucciso per andare da tuo fratello, visto che questa seconda vita non sembra darti un vero perché. Disse una cosa simile con una semplicità disarmante, incurante dell'altro o semplicemente troppo inconsistente per capire il vero peso, dolore provocato dalle sue parole. Era come l'incubo che disturbava il sonno dei bambini, confuso quanto vivido.

    Ma cosa c'era dietro quella stilettata? Disfattismo all'ennesima potenza, sbeffeggio della vita altrui? O altro ancora? Non gli diede molto tempo per arrovellarcisi dato che riprese quasi immediatamente il discorso incompiuto. Molte anime aspettano i loro cari per andare avanti, e ci sono dei vivi che stranamente fanno lo stesso. Si levò da davanti tazza e piattino. Ma questi non sono proprio affari miei, quindi meglio passare al pagamento.

    Detto ciò fece spazio sul tavolino, allontanando porcellane e rimasugli del the. Rubedo, Albedo, Nigredo. Insieme vengono chiamati la Grande Opera, ma si sussurra che prima di venir distillati fossero una creatura indefinita. Te ne sarai accorto, ma sono termini che gli alchemisti mortali usano da secoli. Dettò ciò puntellò i gomiti sul tavolino, nascondendo la bocca livida dietro i dorsi uniti delle mani. Il Rosso fissa, restando cangiante. Il Bianco purifica, riportando all'origine. Il Nero decade, offrendo una nuova possibilità. Occhi neri e curiosi si posarono sul Toreador. Sei soddisfatto? Possiamo passare allo scambio?


    Jerome rolls 6 dice to int+acc 8,9,7,1,5, 8 [3 successes]

    Ecco cosa sai, più o meno, dei termini sentiti.

    CITAZIONE
    La Grande Opera, conosciuta in latino come Magnum Opus, è l'itinerario alchemico di lavorazione e trasformazione della materia prima, finalizzato a realizzare la pietra filosofale. Consiste in diversi passaggi che conducono gradualmente alla metamorfosi personale e spirituale dell'alchimista, ai quali corrispondono, secondo la tradizione ermetica, altrettanti processi di laboratorio caratterizzati da specifici cambiamenti di colore, metafore del percorso iniziatico di individuazione.[1]

    Originariamente le fasi della Grande Opera erano quattro:[2]

    Nigredo, annerimento o melanosi, associato all'elemento terra, e in linea generale al piombo, la putrefazione, la decomposizione, la separazione, vitriol, il caos primordiale, la notte, Saturno, il simbolo del corvo, l'inverno, la vecchiaia;
    Albedo, sbiancamento o leucosi, associato all'elemento acqua, l'argento, la distillazione, la calcinazione, la purificazione, l'alba, la Luna, il femminile, il simbolo del cigno, la primavera, l'adolescenza;
    Citrinitas, ingiallimento o xanthosis, associato all'elemento aria, l'oro, la sublimazione, la combustione, il giorno, il Sole, il maschile, il simbolo dell'aquila, l'estate, la maturità;
    Rubedo, arrossamento o iosis, associato all'elemento fuoco, il mercurio filosofale, il cinabro, la coagulazione, il tramonto, l'incontro tra Sole e Luna, l'androgino quale fusione tra maschile e femminile, il rebis, il matrimonio tra anima e spirito, le nozze alchemiche, la pietra filosofale, il simbolo della fenice, Ermes, Mercurio, il caduceo, Prometeo.

    TI viene in mente anche una postilla di Tommaso d'Aquino in merito:

    CITAZIONE
    «Se dopo un mese o due vorrai osservare i fiori vivaci e i colori principali dell'Opera, ovvero il nero, il bianco, il giallo citrino e il rosso, allora senza alcuna altra operazione manuale, ma solo con la regolazione del fuoco, ciò che era manifesto sarà nascosto; ciò che era nascosto sarà manifesto.»

    Scusa per gendo ikari, ma dovevo metterlo.


    Edited by Shaitan - 19/11/2020, 12:23
     
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    La reazione di Merope fece nascere in Jerome un profondo disagio. Quell'essere semplicemente non era in grado di empatizzare. Sembrava quasi che la sua proposta di suicidio fosse una banalità e aveva etichettato tutta la questione come un discorsetto da bambini.

    Forse il suo reame era così distante dal suo, da non poter nemmeno comprendere le emozioni dell'animo umano.

    La Grande Opera... nemmeno immaginava di poterne sentire parlare da qualcuno che non fosse vissuto nel medioevo. Ma di fronte ad esseri di altri reami che facevano comparire cose dal nulla, non mise in dubbio nemmeno per un secondo la veridicità di quella storia. Non gli parve dunque assurdo il fatto che Merope gli stesse fornendo le chiavi per realizzare la pietra filosofale.

    Signor Merope, le confesso che non avrei immaginato che questo nostro incontro potesse trasformarsi in uno scambio culturale di tale entità. La ringrazio per avermi fornito il suo sapere. Recuperò lo zaino ai suoi piedi e lo mise sul tavolo.

    Se avessi tempo e merce di scambio, le confido che farei di tutto per ottenere informazioni sugli altri elementi. Ma, per quanto sminuito dall'assenza delle altre componenti, ora ho solo bisogno del Vermiglio. Forse è per questo che sono un artista e non un alchimista.

    Fece un sorriso a Merope nella vana speranza di veder sbottonare l'essere, che continuava a fissarlo in maniera profonda e quasi intimidatoria. Sembrava sempre sul punto di scandagliare il suo animo e la cosa non gli piaceva, sebbene avesse cominciato a nutrire del rispetto nei suoi confronti, viste le sue conoscenze e la sua natura.

    Tirò fuori la teca dallo zaino, evitando di guardare il contenuto e pregando di non sentire le uova emettere lamentose e strazianti urla. State buone, pensò, siete insieme, non dovete avere paura.

    Possiamo procedere con lo scambio, se lo desidera.
     
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    Molto bene. Poi, con tono più pieno. Molto, molto bene. Scostò dal centro del tavolino qualche porcellana per permettere all'altro di tirar fuori la teca. Lo fece con cura, trattando il servizio da the persino meglio della preziosa boccetta di Vermiglio; questa era stata poggiata su uno dei piattini a lato del tavolino, come una posata qualsiasi. Merope annuì sommessamente al discorso del vampiro, dandogli chiaro spago e accettando il ringraziamento con un mugolio contenuto, non così partecipe. Gli alchemisti non vedono ad un palmo dal loro naso, a meno che non si parli di pagliuzze d'oro. Sancì, con il tono proprio di chi legge una frase da cioccolatino.

    Adesso vediamo la merce. Allungò il collo verso gli Inseparabili, quegli orribili ovetti rossi facili al piagnisteo. Al momento apparivano piuttosto cheti, con giusto qualche scatto e uggiolo improvviso; a Jerome parvero degli animali addormentati, persi in chissà quale sogno. Ma dove un dolce cucciolo avrebbe magari sgambettato verso un traguardo immaginario fatto di coccole e salsicce loro si addoloravano, straziati da chissà quale sentimento. Che strani esseri...dovrò trovargli dei nomi. Palmi su ambo i lati della teca, la trascinò a sé e poggiò la fronte al vetro. E capire chi li ha creati, c'è magia in loro. Merope batté i polpastrelli sul cristallo, cercando qualche reazione da parte dei suoi nuovi amici.

    Il comportamento del Fatato si mostrava ancora una volta curioso, un andirivieni cupo ma con qualche sprazzo di pure reazioni, quasi cangianti. La meraviglia c'era tutta, dipinta nei mogi tratti dell'essere: il modo in cui imbrunì il labbro inferiore gli fece pensare ai due lacci di una borsa da donna, dove se ne tiri uno l'altro si increspa di rimando. Contenne il fremito di contentezza e raddrizzò la zazzera, puntando al suo ospite.

    Accetto lo scambio, Notturno. Fece rotolare il Vermiglio verso il francese. Prendi, ora è tua.


    e occhio a non farlo cadere 👀
     
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    Il cainita rimase a fissare la beuta sul tavolo, a pochi centimetri da lui. Era impossibile staccare lo sguardo da quel colore: sembrava letteralmente una fiala di sangue. Non fece caso alla curiosità di Merope nei confronti delle uova del diavolo. A dire il vero, non fece caso a null'altro se non alla fiala. Avrebbe potuto trovarsi anche in un lugubre girone infernale e avrebbe comunque tenuto gli occhi puntati su quell'oggetto. Tutti i suoi sforzi e i suoi timori furono dimenticati in quell'istante. Lo stesso Merope e gli altri fratelli da lui incontrati all'asta nella serra, cominciarono a sembrargli poco più che un ricordo, personaggi e luoghi di una favola dai contorni sbiaditi. Per un attimo ebbe una fugace immagine di lui che faceva un ritratto ad Elettra che posava in casa sua, seduta su un alto sgabello, con un velo color vermiglio su una spalla come unico indumento. E anzichè darsi dello sciocco, si crogiolò in quella passionale visione, prendendosi del tempo per metterla meglio a fuoco. Poi allungò la mano e prese il Vermiglio. Tastò la boccetta rigirandola tra le mani, come per assicurarsi che fosse reale e la ripose nello zaino, avendo cura di proteggerla riponendola prima nel suo fazzoletto.

    Spero che si senta soddisfatto quanto me, signor Merope. disse guardando il fatato con aria più rilassata.
     
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    Osservando la beuta si accorse di quanto fosse placido il liquido al suo interno, un comportamento che i più penserebbero essere dato da una gran densità. Ma prendendo il colore tra le mani e ammirandolo Jerome si rese conto di esser stato tratto in inganno, perché ora presentava una consistenza simile a quella della comune acqua. La tonalità mutò leggermente quando colpita dalla poca luce ambientale, scurendosi fino a raggiungere un porpora marcato. L'Artista fece appena in tempo a registrare quel cambiamento visto che il Vermiglio tornò al più "comune" rosso sangue nel momento in cui il pittore fantasticò sulle forme di Elettra, femme fatale non ancora svelata.

    L'immaginazione traslò attraverso la mente porcella, scolpendosi in un nuovo ed improvviso ricordo: il velo vermiglio venne tirato via dal seno della donna da chissà quale forza e finì per spiegazzarsi disordinatamente a terra, dove si reinventò come pozza di sangue. Il passaggio da solido a liquido fu istantaneo e al tempo stesso naturale, burle che solo la mente può partorire. Osservando l'immaginaria superficie -aveva dalla sua una visuale dall'alto, come se fosse appeso al soffitto e qualcuno lo stesse calando sempre più in basso, a favor di dettaglio- notò un'increspatura del tutto nuova, che propendeva verso di lui. Scese. Divenne più forte, più definita. Gli sembrò la mano di un bimbo, tutta presa a spingere contro il telo che lo teneva imprigionato...e Jerome era ancora troppo, troppo lontano. I suoi movimenti, o meglio la sua caduta erano troppo lenti per raggiungerlo.

    Man mano che scendeva d'altezza la scena assunse nuovi dettagli e guadagnò una vera e propria profondità, facendo emergere dal piano liquido dei tratti conosciuti; il volto di suo fratello emerse dal rosso in terra, censurato dalla patina ma comunque perfettamente in grado di disperarsi. Tentava di strappare quel guanto vermiglio che lo separava dal fratellone per ricongiungersi, raspando come una bestia ferita.

    Tese la mano, cercandolo.

    eNlRES1



    L'incontro durò un nonnulla, con la pozza che ricadde a terra e Jerome che venne lasciato cadere verso il basso, nel lerciume. Fissò il pavimento, ora dipinto di nuove impressioni.

    ***



    In fuga dalla sua visione, si sorprese a fissare di nuovo la boccetta. Stavolta il pigmento gli ricordò il colore degli occhi di suo fratello, come se il liquido avesse deciso di esprimersi a modo suo. Fu in quel momento che Lacroix si rese conto di ciò che era successo, del vero potere dell'artefatto. Catturava i sentimenti e si adattava, per poterli così esprimere in modi...incredibili.

    Uhm, si...tutto a posto? Sussurrò il Fatato, stranito dal comportamento dell'altro. Comunque sono soddisfatto, grazie. Si alzò, e tese la grossa mano destra.


    Jerome rolls 3 dice to Int pura (Diff 9) 4,7,9 [1 success]
    Jerome rolls 4 dice to self-c 10,7,6,8 [4 successes] non ti parte il cervello, molto bene. Ti invito comunque a ruolare ciò che prova jerome in merito!


    Edited by Shaitan - 2/12/2020, 17:13
     
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    La visione ebbe lo stesso effetto di un pugno sferrato alla bocca dello stomaco. Jerome rimase per qualche interminabile secondo immobile, con lo sguardo attonito e i muscoli completamente paralizzati. Persino i suoi polmoni, evidentemente non consci della loro inutilità, chiesero più aria e il cainita si ritrovò a boccheggiare come in un attacco di panico.

    La disperazione sul volto di suo fratello gli si stampò sulle retine come un ferro caldo sulla pelle di una bestia. Era davvero così disperato, anche nella morte? No, si convinse Jerome, è solo una visione indotta dalle sue emozioni più recondite... ma allora perchè era sembrato tutto così reale? Quella mano protesa ma irraggiungibile, quel senso di frustrazione nel non poter fare nulla per lui, lo aveva scosso fin nelle ossa. E per l'ennesima volta si ritrovò al cospetto dell'ineluttabilità della morte, alla mercè della sua imperturbabile spietatezza. La vecchia mietitrice se ne stava lì con il suo ghigno, servendogli su un piatto d'argento i suoi timori e i suoi rimorsi, per ricordargli ancora una volta quanto fossero vani i suoi sforzi di accettare la dipartita di quell'anima pura. E lo avrebbe fatto per l'eternità, godendo della sua debolezza.

    Sentì uno brivido gelido risalirgli la schiena, mentre serrava forte la mandibola e strizzava le palpebre.

    Si destò all'improvviso, come se la il mondo reale lo avesse schiaffeggiato per farlo uscire da quell'improvviso torpore. Non aveva udito quanto gli aveva detto Merope.

    Io... ecco... devo andare ora. Aveva lo stesso tono di voce di un pugile suonato e il suo sguardo era ancora perso nel vuoto.La ringrazio. Arrivederci. e si voltò senza nemmeno attendere una risposta.
     
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    Lo Sluagh rimase con la mano tesa in aria, osservando via via più divertito la fuga del Toreador. Chiuse lemme il palmo e sorrise lieto nel percepirne la paura, e godendone. La bocca si torse affamata, snudando denti scuri e un palato lercio; diede un piccolo e fittizio morso in aria, assaporando il petit cadeau lasciatogli. Una scenetta che Jerome avrebbe potuto notare solo girandosi al momento opportuno, altresì la sparizione di tavoli, sedie e porcellane. Dissolvenza oltremodo stilistica, che si concluse con l'allontanamento dell'incubo tra l'erba alta, tenendo tra le mani il trasportino con il prezioso carico.

    Jerome tornò alla sua amata moto.


    A te. Vuoi rimanere, vuoi andare via...?
     
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    dove di preciso? Casetta, Rumpel, Eliseo...?
     
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