Lafitte - Rifugio Aristotele Rodor

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    Nella zona del Bayou di New Orleans, allontanandosi un po' dalle strade principali, si può incontrare una piccola stradina il cui stato ne indica il disuso. Se la si segue, serpeggia in una zona di folta vegetazione, con rigogliosi alberi dalle fronde quasi fino a terra, e si riduce in pratica ad un sentiero. Una volta, doveva essere una strada sterrata mantenuta pulita, ma ora, sebbene le tracce di terreno scavato siano ancora visibili, erba e resti di vegetazione l'hanno invasa.
    Dopo un po', il sentiero sbuca quasi improvvisamente in una piccola zona dagli alberi alti e radi, e in mezzo ad una spianata erbosa (una volta un prato ben tenuto, probabilmente) ci sono i resti di una casa.
    L'edificio, probabilmente una casa costruita nello stile di inizio XX secolo, è ora poco più che un rudere con delle macerie. Il tetto e i piani superiori sono completamente crollati, lasciando esposti un'unica parete sospettosamente ancora tutta in piedi, un paio di muri, e montagne di resti di intonaco e mattoni. Successivamente al crollo, qualcuno deve aver fatto delle operazioni di pulizia e di sgombro, infatti non vi sono i resti di mobilio o altre suppelettili; tuttavia il materiale edile ormai di scarto é rimasto. Probabilmente, il crollo non é avvenuto più di uno o due decenni fa. Il fatto che vi siano solo resti di mura e macerie, e nessun "tetto", fa sì che le rovine non offrano un vero riparo dalle interperie, neanche per gli standard dei disperati, e siano dunque tendenzialmente ignorate da tutti.
    All'interno del perimetro delle mura, in uno spazio nascosto al cielo da un'accumulo di legname crollato, vi é una botola metallica di 1,5m x 1,5 m. La botola é coperta, come tutta l'area all'interno della casa, da un intrico di fitti rampicanti che dalle pareti si sviluppano anche sul terreno; se non si sa della sua presenza, é difficile da notare.
    La botola ha una larga maniglia in metallo, e a parte una lamina esterna, é poi composta da legno e materiale isolante. Per questo, sebbene non leggera, un uomo normale può sollevarla con due mani e un po' di sforzo.
    All'interno, si sviluppa un condotto verticale con una ripida scala di muratura, che conduce ad una piccola stanza buia, che attraverso un'apertura dà su una più ampia stanza, di vari metri di lato, con un paio di colonne di muratura e i resti delle tubature e contatori che servivano la casa.
    Attraverso le tubature divelte e una serie di crepe, piccoli animali possono entrare nella cantina, e si possono trovare in prossimità di queste resti di vecchi escrementi.

    Qualche decina di metri più avanti lo stradello raggiunge l'acqua del bayou, e termina.



    Edited by Deus Irae - 1/3/2018, 19:07
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  2. .Rorschach
     
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    2017-08-01 14:51:42 Aristotele rolls 1 die to Bloodpool 1 (BOTCH x 1)

    Iniziamo già con la sfiga con 3 ps...in termini narrativi significa che per un motivo o per un altro nelle ultime notti non sei stato in grado di nutrirti o che sei stato costretto a spendere un'eccessiva quantità di sangue.

    Tieni bene a mente che sei l'equivalente di un cocainomane in astinenza, ma di più.


    Era buio quando gli occhietti inquietanti di Aristotele si aprirono. Buio pesto all'interno di quella cantina, che già da più di qualche settimana era il suo rifugio. Il suono dell'acqua che scorreva gli arrivava distintamente alle orecchie, e il vecchio materasso accasciato sul suolo era ormai pregno di umidità, fradicio e freddo, viscido quanto la sua stessa pelle. La puzza di marcio era quasi irrespirabile, e tuttavia il Vampiro non ci fece nemmeno caso.

    Per i pochi istanti che susseguirono il suo risveglio, la sua mente fu focalizzata da un solo pensiero: la sete.
    Mai fino a quel momento aveva desiderato con tanta forza di bere. Il suo intero corpo agognava il sangue come un eroinomane la sua dose. Era una sensazione di dolore fisico non indiffere, come se ogni sua cellula fosse assetata, e non desiderasse altro che avventarsi su una preda. Aristotele doveva bere. Era un'imposizione quasi naturale.

    Fu con un certo sforzo che riuscì a distaccare la sua mente da quel pensiero martellante, e a riuscire a cogliere qualche altro dettaglio dell'ambiente intorno a lui. Non era solo; qualcosa stava facendo rumore nell'oscurità. Un grosso corpo peloso si agitò accanto a lui, cercando di attirare la sua attenzione ed emettendo rumorosi squittii. Altri roditori a qualche metro di lui accompagnavano come un coro il loro compare, emettendo sonori mugolii spaventati.
     
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    Ottimo! Quando si inizia bene, dice Murphy.. :D
    Forse non dovrei ricordartelo per il bene di Aristotele, ma per correttezza. .credo ci sia da fare anche il tiro per il difetto Incubi :D

    Nelle notti precedenti, Aristotele aveva lavorato duramente per migliorare la zona di palude attorno al suo rifugio: aveva dovuto spostare e risistemare grossi tronchi e rami dalle molte divagazioni incastrati nel fondale limaccioso; il tutto per assicurarsi una via facilmente agibile, e continua, fino ad una zona dove vi erano corti declivi argillosi, rinforzati dalle radici degli alberi a mezz'acqua, in cui scavavano le loro tane un buon numero di grossi Pesci-Gatto.
    Lui sapeva come pescarli, e questi pesci erano abbastanza grossi da fornire una quantità di sangue ben maggiore dei topi, e un'abbondanza di carne per questi ultimi; il che li rendeva una fonte fondamentale di sostentamento per il Nosferatu e i suoi topi.
    Il lavoro era stato duro e aveva dovuto spesso ricorrere a quell'esplosione di forza che si otteneva bruciando la sua Vitae.
    In più, stava cercando di eseguire degli esercizi di meditazione e preghiera, anche sotto la morsa attanagliante della fame. Così aveva perso il conto del sangue consumato, e si era dimenticato che, a differenza del corpo umano, quello vampirico bruciava sangue ad ogni tramonto, indipendentemente dall'attività.
    Un errore sciocco e irresponsabile.
    Ecco infatti che al risveglio, la Sete lo aveva pervaso in ogni fibra del suo essere, straziandolo come molte molle infilate sotto pelle che scattavano; fortunatamente, quando Aristotele "dormiva", andava metaforicamente in un posto di tormenti ben peggiori di questo, e una volta superati i primi istanti, la sua mente riuscì a nuovamente a concentrarsi..a fatica.

    Era conscio del pulsare dei piccoli cuori dei suoi compagni roditori, piccoli sistemi circolatori di sangue che zampettavano in giro..

    E loro sembravano voler attirare la sua attenzione.

    Ma erano nient'altro che piccole briciole, un ostacolo, anzi no! Quasi una presa in giro per qualcuno sferzato dalla fame come lui, che non desiderava altro che uscire e affondare i denti in qualcosa di grosso, carnoso, succulento e sentire il sangue che ammolava la carne, e fluiva nella sua gola..

    Ma i topi sembravano insistere.

    Con movimenti rapidi scattò a quattro zampe, appogiato sulle ginocchia e sulle mani; gli occhi dilatati, il collo rigido e le spalle strette: spalancò la bocca e mostrando le zanne emise un soffio forte e gutturale dalla gola.
    Per tutti gli animali, stava comunicando in modo inequivocabile la sua tensione e aggressività trattenuta. Il messaggio era chiaro:
    "Sono teso, se qualcuno si mette sulla mia strada lo fa a suo rischio e pericolo", direbbero gli umani.

    Poi si girò verso quegli squittì insistenti..era forse Big Ham?..
    ed emise uno sibilo squittente corto e roco.
    Era il verso con cui i topi si riconoscevano tra loro, e in quel contesto, il roditore l'avrebbe riconosciuto come un
    "COSA?!" o "PARLA!"
     
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  4. .Rorschach
     
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    Altri indefiniti squittii invasero la sala, mentre i roditori mettevano qualche metro fra loro e quel pericoloso predatore che era il vampiro. Nelle tenebre, Aristotele percepì chiaramente una sola di quelle creaturine, rimanergli vicina. Agitata e terrorizzata, ma comunque non sufficientemente dall'allontanarsi dal suo domitor e signore.

    Come se seguissero un loro ordine feudale, uno a uno i topi nelle retrovie si zittirono, lasciando che a poco a poco il silenzio invadesse la cantina. Poi il sorcio rimasto nei pressi del Celato squittì due volte: un suono lamentoso e triste. Un suono preoccupato che, anche senza ricorrere alle sue abilità di Animalista, il Nosferatu conosceva bene. "Pericolo, intrusi, invasori". Il significato era già chiaro: qualcuno si era addentrato nel suo territorio.

    Dopo che il topo ebbe parlato, tramite i suoi sensi Aristotele lo percepì allontanarsi verso uno dei cunicoli. E come un onda, anche le altre creaturine agitarono le zampette, sgusciando via da quel pertugio attraverso i cunicoli e le buche che si diramavano da quella bizzarria architettonica che era il rifugio del Vampiro.
     
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    Pericolo.
    Intrusi.
    Invasori.
    Tre concetti che colpirono la mente di Aristotele con la forza e l'elasticità di un mazzafrusto, scatenando brividi molesti nella sua coscienza prima contratta sull'esigenza primaria di nutrirsi.
    I topi erano abituati al normale movimento della fauna della palude, e non avrebbero reagito in questo modo per qualche animale di passaggio; ciò che li aveva spaventati era una minaccia in grado di annientare il branco, qualcosa che si muoveva per appropriarsi del loro territorio e distruggere..

    ..Aristotele conosceva una minaccia simile.

    In una mente ridotta ad un arido deserto dalla sete straziante, una scossa aprì una fenditura fino alle profondità dei ricordi e ne fuoriuscì una risorgiva di paura.

    Ricordò.

    Quella notte di luglio di anni fa.
    Il Sabbat, che era venuto, aveva annientato e si era preso tutto.
    I suoi inseguitori, sulle sue tracce allora come adesso.

    Erano qui?!

    Normalmente, Aristotele avrebbe affrontato la questione con mente fredda e lucida. Avrebbe usato i topi per indagare sulla minaccia, rimanendo rintanato in un angolo del suo rifugio, pronto a diventare un'anonima parte di quel paesaggio sotteraneo se gli intrusi fossero entrati. Avrebbe cercato di barricarsi dentro, dietro mura di mattoni e una botola di metallo e sotto un paio di metri di terreno, se la minaccia fosse stata troppo pericolosa. Il suo rifugio non aveva ingressi secondari della sua dimensione, e se questo lo rendeva più controllabile, lo trasformava anche in una trappola (ironicamente, non per topi: loro infatti avevano pertugi di dimensione adatta); ma Aristotele poteva andare avanti a lungo con il sangue fornitogli dai suoi topi e dagli animali da loro portatigli, e aveva un piede di porco, con cui prima o poi avrebbe divelto la botola o i mattoni di un muro e avrebbe potuto scavarsi una via d'uscita.
    In condizioni normali, era convinto di essere in grado di superare il pericolo di qualsiasi minaccia che l'avesse colto nel suo rifugio.

    Ma queste non erano condizioni normali. La Sete lo straziava e lo spingeva verso l'esterno, dove si trovava il cibo. Una pulsione tale da frenare anche la paura.
    Aristotele non poteva ignorarla, e se l'avesse contrastata troppo avrebbe solo rischiato di farsi dominare completamente.
    Meglio lasciarla correre, e utilizzare quella poca lucidità rimastagli per incanalarla in una caccia efficiente e sicura.

    I suoi muscoli si tesero, e tutta la sua figura si contrasse in uno spasmo di un momento, mentre ingollava il terrore del Sabbat nelle viscere dello strazio della Sete.
    Poi scattò: salì rapidamente la scaletta che portava alla botola, e appena sotto di essa, si fermò.
    Mise entrambe le mani aperte sui mattoni vicini al bordo, e mantenne il contatto esercitando una leggera pressione, come a voler entrare a far parte dello stesso laterizio; contemporaneamente premette un orecchio sul mattone dove si trovava la maniglia, e si concentrò.
    Come i piccoli mammiferi nelle loro tane buie, provò ad ascoltare il terreno, a sentire le vibrazioni che lo scuotevano.

    Poi, con estrema accortezza e furtività, delicatamente sollevò di pochi centimetri la botola, quel tanto che bastava per far passare le mani e bloccarla con queste.
    Ora l'aria della notte scivolava fino al vampiro, portandò con sé i suoi suoni, che il vampiro ascoltò con attenzione.

    Per chiarire :D : prima faccio una prova per cercare di percepire, con tatto-udito, delle vibrazioni forti nel terreno, come ce ne sarebbero se qualcuno stesse saltando sulla botola o lì vicino, o se un mezzo pesante si stesse muovendo in zona; poi sollevo furtivamente (piano e cercando di non far rumore) di pochissimo la botola per poter fare una prova di Ascoltare dell'esterno :D
     
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  6. .Rorschach
     
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    Seguendo il flusso di creautirine che rapidamente si stavano allontanando dal rifugio del vampiro, Aristotele raggiunse l'uscita della cantina, la botola che emergeva in mezzo al giardino infestato di erbacce di quella che qualche decennio prima doveva essere stata una baracca coloniale.
    Il nosferatu mosse lievemente la pesante piastra di metallo, lasciando penetrare finalmente un filo di luce all'interno del cubicolo.

    Per un istante l'unico suono che riempì l'aria fu il torbido silenzio che normalmente regnava nel Bajo, interrotto solo parzialmente dallo zampettare di qualche creaturina notturna. Per un istante sembrò che il suo gregge si fosse sbagliato. Forse la natura ansiosa dei ratti li aveva tratti in inganno, o la fame aveva ottenebrato la capacità di raziocinio del Topo di Fogna.

    Ma poi eccolo: limpido e cristallino il rumore di un sonoro tonfo nell'acqua ad alcuni metri da lui, proprio nella direzione in cui un affluente della palude costeggiava la baracca che Aristotele aveva fatto sua.
    Il suono era troppopreciso e innaturale, per essere stato causato da un animale. Sicuramente c'era qualcuno nei pressi dell'acqua. L'unica domanda da porsi a quel punto era: preda o predatore?
     
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    Il rumore profondo dell'acqua smossa fece vibrare le orecchie di Aristotele, e mandò un brivido nervoso lungo la sua spina dorsale.
    Era vicino, sgradevolmente vicino..
    Di cosa poteva trattarsi? Un solo colpo così sonoro sembrava eccessivo per dei passi nell'acqua..
    Una caduta, forse? Ma di cosa?
    Se qualcuno era sulla riva e stava sganciando oggetti in acqua, era ancora più vicino, e non ostacolato nei movimenti dal fluido. Male.
    Avrebbe potuto persino trattarsi di una piccola imbarcazione appena ormeggiata.

    Pensieri che gli passarono davanti in meno di un'istante, con la stessa rapidità con cui i piccoli animali registrano le variazioni dell'ambiente da cui dipende la loro sopravvivenza.

    Attendere in quella posizione era ovviamente sconsigliabile, sebbene più percettivo sarebbe stato anche più individuabile, al meglio sarebbe equivalso a ritornare e rinchiudersi nel suo rifugio.
    Ma la Sete che contraeva ogni fibra del suo corpo non avrebbe tollerato un'attesa passiva a tempo indeterminato, ed aveva già escluso questa opzione per lui.

    Così, con ogni possibile dubbio fugato dalla nebbia rossa che copriva gli angoli della sua mente, il Nosferatu fece forza sulle mani e si issò dal pertugio, lasciando che la botola scivolasse sulla sua schiena. Rimase il più possibile incurvato e vicino al livello del terreno, in modo da evitare un'eccessiva apertura della botola, che avrebbe potuto essere notata. Con il bacino prima e le gambe poi strisciò lievemente per passare completamente sul terreno, come come un serpente che usciva da un buco. Mantenne e accompagnò con una mano la botola nuovamente in posizione di chiusura. Compì ogni movimento nel modo più preciso e furtivo possibile, i muscoli morti già contratti dalla Sete ed indifferenti ai fastidi e crampi di tali movenze non del tutto proprie del corpo umano.
    Dopodiché, andò silenziosamente ad appiattirsi contro la parete in rovina che copriva il lato della casa da cui proveniva il rumore.
    I muri ancora eretti, sebbene rovinati, dell'edificio sotto cui si era insediato giocavano almeno in questo a suo vantaggio, tagliando una linea diretta con l'ipotetico invasore e proteggendo il vampiro durante questi movimenti. Non solo, avrebbero costretto l'intruso ad entrare nel perimetro della casa, lasciando ad Aristotele la possibilità di tendergli un'imboscata al suo ingresso..o di fuggire in direzione opposta.

    Chinando lievemente le ginocchia, usò una delle irregolarità del muro in rovina per sbirciare, con attenzione ad esporsi il meno possibile, poco più del suo occhio, rimanendo nascosto.
    Quasi contemporaneamente, mentre la sua mente registrava ciò che il suo occhio aveva visto, il suo corpo istintivamente si mescolava ai suoi dintorni, diventando visivamente poco rilevante, un'anonima protuberanza sul lato interno del muro.

    Gli era capitato varie volte nella Foresta Amazzonica di scivolare, più o meno consciamente, in questo stato; il potere del Ragno Cacciatore garantiva l'anonimato necessario a colpire una preda ignara, o a sfuggire ad un predatore distratto. Ma se anche l'intruso fosse a caccia ( di Aristotele o di qualcos'altro), il potere avrebbe concesso al vampiro qualche secondo in più di anonimato mentre il suo avversario varcava il perimetro interno della casa, o aggirava il muro, prima che potesse concentrarsi attivamente sul punto dove si trovava il Nosferatu.
    Ho controllato sul regolamento qui sul forum, ma sono da cellulare e potrei sbagliarmi. Il testo considera che Manto d'Ombre che attivo alla fine non abbia costi in Punti Sangue. Se invece li ha, abortisco quell'azione ed edito il testo togliendola, il resto rimane uguale :)
     
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    Ore 21.30


    Aristotele sgusciò nell'ombra, come aveva imparato in Amazzonia. Un predatore invisibile, simile al ragno che, immobile, attende che la preda cada nella sua tela. Si fece largo tra le macerie della casa diroccata, per poi passare alla protezione dei giunchi e dell'erba alta. Si acquattò dietro a un tronco spezzato di mangrovia, vicino all'acquitrino.

    Due uomini erano di schiena, rivolti verso l'acqua stagnante. Erano impegnati a gettare di peso alcuni grossi fagotti, nella melma del Bayou, lunghi quasi due metri, e piuttosto stretti, se comparati alla lunghezza. Ne avevano ancora un paio, prima di finire il loro lavoro.
     
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    Si dice che nel cervello di un essere umano coesistano due entità pensanti, due *menti.
    Una é l' Uomo , l'altra, atavica, é l' Animale.
    Tuttavia, per chi era vittima della maledizione che aveva condannato Aristotele al suo stato attuale, esisteva una terza, pulsante mente che premeva nei loro cervelli: innaturale e brutale, era il Mostro.

    Quando Aristotele vide finalmente la scena che stava provocando tanto timore e scompiglio nel suo piccolo dominio, le tre *menti*, i loro confini sfocati dalla Sete, esplosero in rapide e successive elaborazioni su come reagire.

    In Aristotele, l'Animale si era sviluppato e affinato negli anni passati in Amazzonia; con la venuta del Mostro, aveva spesso sopperito alla debolezza dell'Uomo, incapace di reggere appieno la situazione.
    L'Animale aveva imparato a sopravvivere, in un mondo dove non era né il più forte né il più furbo.
    L'Animale sospirò di sollievo a vedere che dopotutto, questi "intrusi" non sembravano affatto interessati a lui, ma erano impegnati e distratti dalle loro faccende. Non c'erano dubbi: era il momento giusto per squargliarsela, levarsi di torno, sparire nella natura circostante e andare lontano, cacciare con calma, e poi chissà, con circospezione, riavvicinarsi alla tana, prima o poi se ne sarebbero andati no?..
    Per l'Animale la discrezione era la parte migliore del valore. Come un piccolo mammifero, non aveva bisogno di combattere altre battaglie: bastava quella quotidiana per sopravvivere.

    Ma le gambe non fecero in tempo a ricevere lo stimolo di voltarsi, che il Mostro arrogante e imponente ruggì la sua rabbia.
    Quei due erano invasori nel suo territorio, intrusi che facevano i loro comodi, di fronte alla sua tana! Spaventavano il suo gregge, inquinavano la sua fonte, minacciavano la sicurezza di tutta la zona! E se fossero tornati la prossima notte? E quella dopo? E ancora? Si sarebbero appropriati di quel territorio, e gli avrebbero sottratto il dominio, e allora sarebbe davvero stato una preda! Doveva fargliela vedere, dargli una bella lezione, non sarebbero mai dovuti tornare!!!

    Non sarebbe stata la prima volta che Mostro e Animale si scontravano. Ma questa volta, l'Uomo non restò in disparte a guardare.
    Perché quando l'Uomo vide la scena, una voragine si aprì nella mente di Aristotele, facendo crollare ogni aggressività, inghiottendo ogni volontà di fuga, rilasciando la paralisi gelida del terrore nei pensieri e nel corpo.

    Il Mostro era nato da una scena come quella. L'Animale aveva dovuto uscire allo scoperto per contrastarlo.
    Per l'Uomo, era stato l'inizio di un incubo da cui non sarebbe mai uscito.
    ..fagotti lunghi quasi due metri, molto più stretti..Erano corpi umani?! Erano corpi umani!?
    Stavano gettando esseri umani, incatenati, nell'acqua melmosa?!
    Quella scena da incubo, quell'orrore, si stava forse ripetendo? Di nuovo? Di fronte alla sua porta??? Quanto era realmente maledetto Aristotele, per assistere ancora a questa scena?

    Il corpo immobile, i sensi del vampiro si concentrarono completamente sulla scena che aveva davanti. Gli occhi cercarono di analizzare il più possibile i fagotti, per accertarne la natura, con la speranza di poter fornire una risposta negativa alla prima impressione, che aveva sconvolto il Nosferatu. Poi si mossero sui due individui, per cercare di cogliere qualche dettaglio utile.
    Le orecchie, invece, si tesero, per catturare ogni elemento sonoro che potesse chiarirgli il reale significato di ciò che aveva davanti.

    I momenti in cui si sente la mancanza di Auspex 1 :D
    In pratica dedico alcuni istanti per cercare di capire qualcosa di più.
     
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    2017-11-28 12:09:47 Aristotele rolls 6 dice to Perc.+Sesto senso 9,4,9,2,6, 7 [4 successes]


    I due uomini parlavano ad alta voce, sicuri di essere soli e al sicuro in quell'ambiente mefitico, frequentato solo da bestie dall'intelletto primitivo, interessate alla scena soltanto per valutarne l'attrattiva in termini di potenziale di cibo.

    Sempre ai poveri negri toccano questi lavori.

    Sta' zitto, negro.

    Non siamo mai usciti dalla schiavitù, te lo dico io, negro. E adesso non sono soltanto i bianchi, ci si sono messi quegli stronzi dei latinos.

    Smettila, negro, e aiutami a sollevare questo stronzo.

    Gli stronzi siamo noi, negro. Ammazziamo i fratelli e li gettiamo agli alligatori perché non riusciamo a metterci in proprio. Quelli del KKK hanno fottutamente ragione. Siamo una razza pigra e incapace.

    Me ne sbatto questo fottutissimo cazzo da negro delle tue storie, negro. Abbiamo un lavoro da fare. Prendilo per i piedi, negro.

    Perché noi negri abbiamo bisogno di un padrone. Se non sono i cazzi mosci dei bianchi, sono le cappelle puzzolenti dei latinos che ci mettiamo a succhiare, negro. Che cazzo ci sono venuti a fare da sud, ti dico. Da sud non viene mai niente di buono, negro.

    Chiudi quella fottuta bocca, negro. Al mio tre.

    I due parlavano mentre si chinavano a sollevare il prossimo fagotto, per gettarlo tra le acque del bayou.
    Aristotele poteva inoltre percepire la palude, viva e sveglia tutto intorno a lui. I suoi abitanti erano stati attratti, come il Nosferatu stesso, da quella strana visita, e molti avevano deciso di mettere da parte la naturale ritrosia verso quel luogo per spiare e, magari, ricavare uno spuntino. Piccoli uccelli palustri, lucertole, e un paio di grossi alligatori.
     
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    Aristotele rimase un istante sbigottito. Il suo istinto aveva ragione, e la sua grande paura era realtà: quelli erano corpi umani.
    Quegli individui stavano con noncuranza buttando nelle acque scure una serie di esseri umani, come spazzatura in una discarica melmosa. E da come ne parlavano, non doveva essere passato troppo tempo da quando quei sacchi erano persone vive e vegete, ognuno con una propria vita.
    E loro, indifferenti, scherzosi addirittura, li buttavano nelle acque della palude.
    Come potevano? Come potevano farlo? Perché proprio quello?
    Dopo aver assistito alle violenze del cambio di regime in Mali, Aristotele aveva una serie di ricordi che gli avevano segnato la vita, e gli avevano insegnato che l'essere umano può essere l'autore delle peggiori nefandezze nei confronti dei suoi simili.
    Eppure questo era oltre: era il comportamento di mostri, non di uomini. Doveva essere così. Aristotele poteva affermarlo con certezza, perché l'unica volta che l'aveva visto, erano stati dei mostri a metterlo in pratica.
    Lui e gli altri Yamomano, gettati nel basso fiume. Macellati, strappati alla vita, poi sviliti nella morte per sottrargli la morte e la sua pace.
    Ma questi non erano vampiri. Questo non era il Sabbat.
    Erano solo uomini.
    No, non l'avrebbe consentito. Non di nuovo, e non davanti al suo rifugio, e di certo non da parte di piccoli, insignificanti uomini che credevano di poter giocare ai mostri.
    Nella mente prima combattuta del Nosferatu l'Uomo prese con decisione le redini della situazione. Il Mostro aveva ragione. Quei due meritavano una lezione.
    L'Uomo strinse a sé il Mostro, e richiamò l'Animale. Sarebbero stati i suoi strumenti, la sua longa manus d'azione.

    Loro e, naturalmente, quei due alligatori che aveva visto avvicinarsi.

    Gli alligatori comunicano principalmente con una serie di suoni a bassa frequenza, e movimenti dell'acqua. In effetti, sono tra i più comunicativi e vocali tra i rettili, ma poiché raramente l'uomo percepisce questi suoni, spesso si formano di quelle leggende sul fatto che non abbiano un vero "verso", le classiche dicerie popolari che poi vanno a finire nelle canzoni per bambini.
    Aristotele si piegò, e si distese, immergendo la metà inferiore del suo corpo. Abbassò la testa, e lasciò che l'acqua gli arrivasse tra il labbro superiore e il naso.
    Aprì la bocca, lasciando che si riempisse parzialmente d'acqua.
    Per parlare come un alligatore, bisognava immaginare di imitare una tuba, ed aprire e chiudere a scatti le guance e la bocca per creare la giusta vibrazione. L'acqua avrebbe aiutato, e l'avrebbe trasportata dritta ai due animali, lasciando ignari invece i due uomini.
    Fortunatamente, gli alligatori erano capaci di cacciare cooperativamente, anche se la scienza l'aveva scoperto solo di recente; Aristotele avrebbe cercato di imitare il richiamo che usavano quando organizzavano questi particolari gruppi di caccia, per richiamarli a sé.

    Lasciò che l'Animale si diffondesse nel suo corpo, diventasse la sua tuba. Lasciò che la fame del Mostro vi scivolasse dentro, che fosse il suo fiato.
    E l'Uomo dettò lo spartito:
    Venite. Cacciamo insieme.

    Una corta serie di suoni a bassa frequenza, e alcuni movimenti nell'acqua. Il richiamo era stato lanciato.

    Con un po' di fortuna, sarebbe bastato per smuovere gli alligatori in attesa, e a farli avvicinare ad Aristotele.

    Editato. Uso Animalità 2


    Edited by Aristotele Rodor - 5/12/2017, 00:19
     
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    Animalità richiede espressamente che la comunicazione avvenga con il contatto degli occhi. Questo perché più che una comunicazione verbale,
    si tratta di una comunione di anime, e gli occhi sono lo specchio dell'anima. In questo modo, potresti stare usando Animalità 2 per richiamare gli animali,
    ma non Animalità 1
     
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    Cavolo, hai ragione. Va bene, allora uso Animalità 2 per farli avvicinare a me, sperando che i due tizi non li notino, poi userò Animalità 1 per farli attaccare i due. Domani edito il post in modo che sia chiaro
     
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    2017-12-06 11:23:05 Aristotele rolls 7 dice to (Diff 4) 8,9,1,1,1, 5,10 [1 success]

    Difficoltà diminuita perché mi è piaciuta molto l'interpretazione del comando

    2017-12-06 11:28:45 Aristotele rolls 5 dice to Pront.+furt. (Diff 5) 2,9,5,9,7 [4 successes]
    2017-12-06 11:25:13 Ceffi x2 rolls 6 dice to Perc.+Sesto senso (Diff 7) 7,3,9,10,2, 8 [4 successes]


    Uno degli alligatori presenti, scivolò pigramente nell'acqua, nuotando verso la posizione di Aristotele. Si fermò, incuriosito, a pochi centimetri da lui, sorpreso di non trovare nessuno là dove era stato chiamato.
     
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    Direi che gli 1 si sono molto affezionati a me in questa narrazione.. :D
    Una domanda importante: per avere il contatto di sguardi, é necessario che entrambi ci guardiamo negli occhi? O basta che io possa fissare i suoi occhi?
    Ho guardato a pagina 133 sotto Sussurri Ferini, e ha pagina 158 dove c'é il riquadretto “Contatto di Sguardi”: parla di aggredire o entrare in contatto con l'anima del bersaglio, come dicevi, e che passa attraverso gli occhi perché sono appunto lo specchio dell'anima, ma non dice esplicitamente che anche il punto di partenza di questo contatto spirituale deve essere visibile. Poi però ho letto che parla di “cogliere l'attenzione” del bersaglio, per cui mi sono fatto l'idea che occhi o non occhi, non posso stabilire questo contatto se sono Oscurato, cioé la definizione di “non attirare l'attenzione”.
    Ho scritto il post basandomi su questo; fammi sapere cosa ne pensi.


    Nonostante l'impegno di Aristotele, solo un alligatore si era avvicinato. Il suo compagno probabilmente era del tipo che preferiva sciacallare una carogna piuttosto che cacciare, e cercava di evitare sforzi inutili. Meglio così. Un solo alligatore muovendosi attirava meno l'attenzione di due che si muovevano affiancati verso un unico punto, e Aristotele non voleva rischiare di rivelare la sua posizione.

    Aristotele si era fuso con il paesaggio circostante per evitare di essere individuato dai due ceffi, ma ora lo stesso alligatore si trovava spiazzato: nonostante fosse poco distante da lui, percepiva solo la fitta vegetazione lacustre. Il Nosferatu doveva uscire dal suo stato di isolamento dal mondo e ridiventare parte di esso, se voleva entrare in comunione con l'animale.

    Per prima cosa, dedicò un istante a concentrarsi e controllare i due uomini. Non voleva correre alcun rischio, e certo non intendeva rivelarsi proprio nell'eventuale momento in cui questi avessero deciso di venire nella sua direzione.
    Se invece, e solo se, fossero sembrati mantenere la loro posizione, allora Aristotele si sarebbe, molto cautamente, mostrato all'alligatore.

    Era un'operazione molto delicata: doveva riuscire a rendere nota la sua presenza senza allarmarlo. Non voleva in alcun modo spaventare l'animale e rischiare che reagisse violentemente, sia attaccandolo che attirando l'attenzione sul nascondiglio; e da così vicino non era facile.
    Avrebbe mosso lentamente le mani sott'acqua, piegando fluidamente ma con decisione le dita verso l'alto: avrebbe smosso l'acqua, e ricordato la vibrazione che una tozza zampa di alligatore eseguiva quando saliva in superficie. Una piccola scossa lungo tutto il corpo, un movimento davvero minimo, ma sufficiente per trasmettere la sensazione, la vibrazione di acqua che gli scivolava di dosso, proprio come se fosse appena emerso, dolcemente, come fanno questi grandi rettili. Sarebbe sembrato un altro alligatore, più piccolo, nascosto in immersione, che era riemerso in quel nascondiglio ricco di vegetazione, o così sperava.
    Avrebbe tenuto lo sguardo fisso sugli occhi dell'alligatore tutto il tempo, in modo da incrociare i loro sguardi e stabilire la connessione quasi nello stesso istante in cui si rivelava, e trasmettergli calma.
    Un messaggio semplice, di riconoscimento e di accettazione.

    Sono qui. Sono CON te.

    Immaginò le basse vibrazioni di un ottone, arrivare dritte nell'animo dell'animale, e toccare le sue corde; speranzoso di ottenere una reazione armoniosa, come il primo musicista di un duetto improvvisato che confidava che il secondo captasse la melodia della sua musica.
     
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