Jean Lafitte - Centro cittadino

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    Sembrava che non avrebbe avuto problemi dal capanno, dopotutto.
    Rassicurato, Aristotele tornò dentro l'ufficio. Doveva trovare qualcosa per bloccare la porta dello sgabuzzino, e pensò al vecchio schedario. Con la forma di un parallelepipedo verticale, aveva una struttura ideale per seguire la porta lungo la sua altezza e impedirne l'apertura. Inoltre Aristotele avrebbe potuto appogiarvisi, e se qualcuno avesse mosso con violenza la porta, accorgersene (sonno diurno permettendo).
    L'unica cosa, poteva forse essere un po' pesante; così pensò di rimuovere i cassetti (per di più pieni dei documenti sciolti) e trasportare solo la struttura principale.
    Le guide probabilmente erano fragili per la ruggine; ma per ogni evenienza, Aristotele aveva il suo piccolo piede di porco come aiuto.
     
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    Aristotele tolse i cassetti dallo schedario, lo sollevó in verticale e lo spinse piano ma con decisione verso lo sgabuzzino. Visto lo stato generale dell'ufficio, era meglio muoversi con un'attimo di attenzione, per evitare che si rompesse qualcosa d'altro. Arrivato quasi allo sgabuzzino, si fermò. Tolse il suo sacco a pelo dallo zaino; si levò lo spolverino, la cuffia, gli occhiali e lo scaldacollo, li ripiegò ordinatamente e li infilò nello spazio appena liberato. Richiuse lo zaino e lo sistemò nell'interno vuoto dello schedario.
    Poi si spostò all'altra estremità, e iniziò a tirare, trascinando il mobile dentro il piccolo ripostiglio.
    Chiudersi dietro la porta richiese un po' di manovre, ma alla fine riuscì a bloccarla con lo schedario.
    Lo spazio rimasto era veramente poco, ed era chiaro che il Nosferatu non avrebbe certo dormito disteso.
    Perlomeno, non in orizzontale.
    Ci volle qualche altro contorsionismo per infilarsi dentro al sacco a pelo, e a quel punto tirò su la zip fino in cima, e si strinse bene il cappuccio, riducendo al minimo, una piccola area del viso, la zona esposta.
    Avvolto come un baco in un bozzolo, si piegò verso il basso, fino a toccare con il fondoschiena il pavimento, effetivamente sedendosi con le ginocchia raccolte.
    Teneva la testa piegata in avanti, e la piccola parte di viso libera a contatto con il rivestimento esterno del sacco a pelo.
    Se avesse avuto ancora bisogno di respirare, forse avrebbe fatto fatica a prendere aria, ma così la cosa non lo disturbava, anzi, trovava il materiale lievemente ruvido gradevole sulla sua pelle.

    Perché un sacco a pelo? Perché tutte quelle complicazioni, quando effettivamente non soffriva né freddo né umido?
    Perché era una routine ordinata, e Aristotele aveva sempre pensato che le abitudini fossero una parte fondamentale nell'igiene caratteriale di una persona. In breve, aiutavano a mantenere la stabilità mentale.
    C'era una differenza tra "dormire" e "andare a letto". Spesso, anche quand'era ancora in vita, gli era capitato di buttarsi a riposare scomposto, in posizioni e luoghi improbabili, dettato a volte dalla necessità o più semplicemente dalla pigrizia mentale nei confronti della stanchezza.
    Eppure, avere quella pazienza in più, fare quello sforzo di spogliarsi e farsi avvolgere da una coperta non era qualcosa di superfluo: aggiungeva al sonno un senso di stabilità, di sicurezza; rappresentava il lasciare le difficoltà del mondo da parte e sentirsi nudo in un ambiente protetto.

    Mentre aspettava la sonnolenza dell'alba, chiuso nel suo mondo oscuro, si mise a riflettere su ciò che era accaduto quella notte, e sul suo possibile significato.

    Si era svegliato afflitto dalla Sete. Anche se la sua mente non si era completamente persa nella Bestia, era diventato irascibile, aggressivo, ed egoista: aveva dovuto basare ogni sua scelta sui crampo costanti che lo torturavano e gli spaccavano la mente.
    E tutto questo perché?
    Perché aveva ceduto alla Superbia. Aveva pensato che privarsi dei bisogni di questa perversa condizione l'avrebbe aiutato ad elevarsi, ad essere migliore. E scioccamente, aveva agito senza considerare il costo, e i rischi, di un simile gesto.
    Come per gli asceti dei primi secoli del cristianesimo, doveva ricordare che la rinuncia, il rifiuto delle necessità della propria condizione, andava praticato con moderazione e controllo, e solo dopo molto, molto esercizio. La metafora che veniva usata era calzante anche per quanto accadeva ora che era vampiro:

    "Quando intraprendiamo un cammino per avvicinarci a Dio e lasciarci alle spalle questo mondo, siamo come funamboli che camminano su una corda sottile. Quando la corda é bassa, se cadiamo, perdiamo qualcosa, ma dopo esserci rialzati, cioé aver fatto penitenza, possiamo impegnarci nuovamente nel nostro cammino; ma attenzione ad alzare la corda! Perché tanto più la corda é in alto, tanto più sarà gravoso cadere; e se cadendo moriremo, la colpa sarà solo nostra, non della gravità, o del terreno, ma dell'altezza con cui abbiamo voluto misurarci. "

    Evagrio Pontico, se ricordava bene.
    ..IV sec.?

    Ma rendeva l'idea.

    Gli angeli cadono per primi, e più in profondità.

    E di fatto, il suo errore lo aveva portato a risvegliarsi all'inferno. Una nuova variante dell'inferno in cui sprofondava spesso durante il giorno. Un inferno reale, concreto, manifestato pienamente in questo mondo.
    Ancora una volta, aveva dovuto assistere allo stesso tipo di scena che era risultata nel suo Abbraccio.

    Sì, era di sicuro visibile come la concretizzazione della sua caduta morale, ma aveva anche un significato autonomo.
    Era un avvertimento.
    Aristotele poteva essere indotto a pensare di aver lasciato tutti i pericoli, tutti i suoi guai, in Venezuela.
    Che sarebbe partito da zero, con nulla, ma libero da debiti, libero da peccati, libero dal male.

    Ma non era così. Il Male era ovunque e il peccato era intrinseco nella condizione umana. Il Sabbat era solo un mezzo: anche qui, senza di lui, avrebbe trovato gli stessi pericoli, gli stessi dubbi morali, la stessa malvagità latente e manifesta.
    Non c'era un luogo puro nel mondo, perché era lo spirito del mondo ad essere corrotto.

    Ma evidentemente un qualche tipo di speranza esisteva ancora. Lo sentiva chiaramente, nel mare in tempesta del suo animo, cone un faro distante ma presente che lo incitava alla costante ricerca del porto.
    Ne aveva la certezza rievocando la sensazione che aveva provato dopo aver superato l'ordalia. Schiacciato e seppellito da un peso inamovibile, a nulla era valsa la razionalità per uscire da quella situazione. Era una prova dello spirito, e solo impegnandosi spiritualmente era riuscito a superarla.
    E quando finalmente si era liberato dalla presa della terra.. ah!
    Si era sentito leggero, rinato, ... vivo.

    Non aveva risposte sulla condizione che lo affliggeva, ma per andare avanti, avrebbe preso quella sensazione.. quasi.. un sentimento... come un segno.
    Un segno per continuare a cercare, per provare a capire, per affrontare un'altra notte maledetta.
     
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    2018-05-02 13:27:49 Aristotele rolls 7 dice to Incubi (Diff 7) 8,5,9,8,8, 10,5 [5 successes]

    Ore 21.00


    Nonostante i ricordi che lo tormentavano ogni giorno prima di accogliere la Morte diurna, il riposo di Aristotele fu particolarmente ristoratore, senza essere disturbato da incubi.
    Cosa ancora più sorprendente: era ancora vivo, e dove si era rintanato la notte precedente.
     
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    scusa per il ritardo. Ti ho fatto aspettare qualche giorno e poi non mi é neanche venuto il post lungo che avevo in mente.


    Il suo sonno era stato insolitamente tranquillo. Si era addormentato nel mezzo delle sue riflessioni, stretto nel sacco a pelo, e si era risvegliato senza soluzione di continuità, come se fosse passato solo un battito di ciglia. Era riposato e dall'animo sereno, senza (almeno al momento) crucci e ansie.
    Si alzò, e con tranquillità ma decisione uscì dal sacco a pelo, liberò la porta dello sgabuzzino ed entrò nell'ufficio. Recuperato il suo zaino, estrasse gli altri suoi abiti e risistemò all'interno il giaciglio.
    Al momento si sentiva quasi svincolato dalle catene della Bestia, ne' con il senso di colpa dell'esser sazio ne' con l'agonia della fame.
    Ma come aveva imparato ieri, questa sensazione era illusoria: per rimanere in equilibrio, avrebbe dovuto nutrirsi.
    Fortunatamente il piccolo porticciolo abbandonato tra terra e acqua forniva un ambiente perfetto per i roditori acquatici come le nutrie.
    Non sarebbe stato difficile convocarne qualcuna.

    A quattro zampe, con il corpo comodamente accocolato tra gambe e braccia, emise una serie di lunghi squittii intervallato da un qualche scatto della lingua. Nel suo richiamo non meramente uditivo cercò di far fluire la serenità che stava ancora provando dal piacevole sonno, per trasmettere una sensazione di benessere che attraesse e rendesse placidi i roditori.

    uso animalità 2 come descritto, e mi nutro di quelli che arrivano. Io mi sono fermato con il post perché a seconda di quanti arrivano potrei voler andare a caccia dopo o potrei dover cambiare metodo; va bene o in questi casi é meglio che prosegua?

    Comunque, mentre scrivevo le ultime righe é saltato fuori un bel topastro che si é fatto un giro tranquillo sulla pensilina del mio binario alla stazione: vediamo se é un segno positivo o negativo! :D
     
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    2018-05-10 16:26:49 Aristotele rolls 7 dice to (Diff 7) 9,8,1,6,5, 2,10 [2 successes]

    Arriva una coppia di nutrie. Descrivi pure te la scena, per 1 ps
     
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    Come aveva supposto, non ci volle molto prima che due grossi roditori facessero capolino da un'apertura nelle assi della parete. Normalmente cauti e sospettosi, si mossero invece con calma verso il centro della stanza dove si trovava il Nosferatu. Si guardarono intorno lentamente, comr distratti, fecero un paio di giri, per poi sostare di fronte al vampiro. Le onde di serenità che emanava li avevano contagiati, e ora se ne stavano lì a far nulla, annusando per abitudine l'ambiente, beandosi della sensazione. Quando Aristotele ne prese uno in mano, non fece resistenza, e si mosse solo quel tanto per trovare un equilibrio migliore, annusando pigramente il polso. Una gentile carezza, una strusciata del suo viso contro la schiena, e mentre la nutria contemplava placida l'area della stanza, Aristotele affondò i canini nella carne dell'animale.
    Più che irrigidirsi, il topo ebbe un piccolo brivido improvviso, prima che il piacere anestetico del Bacio lo travolgesse.
    Aristotele bevve il sangue caldo e umido, pieno di retrogusti acri, con calmi sorsi, cercando di non sprecarne nemmeno una goccia.
    Quando l'animale fu completamente prosciugato, lo appoggiò delicatamente sul pavimento.
    Era immobile.
    Il compagno, ancora preso dal trastullarsi nelle emozioni rilassate trasmesse dal vampiro, sembrava non aver compreso cosa fosse accaduto. O forse non gli importava. Ma di certo il suo istinto di autoconservazione era troppo inibito per fargli scegliere la fuga.
    Anche lui venne preso in mano, messo a suo agio, e subì lo stesso destino.

    Aristotele guardò i due cadaveri di fronte a lui.
    Si era comportato come un vero ragno, tentando le prede nella sua tela, una tela fatta di istinti e di empatia, e a discapito delle dolci promesse, le aveva uccise.
    Poteva sembrare ipocrita, ma durante la sua permanenza in Amazzonia e riuscito ad accettare questo fatto, senza ipocrisie. Ogni animale doveva adottare una strategia per nutrirsi, e la sua era quella. Nutrirsi poteva significare la morte per un altro essere vivente, ma non era fatto con malizia.
    In natura é lecito mangiare per vivere.
    La domanda per Aristotele si era spostata su un altro punto: meritava di vivere?

    Non lo sapeva, ma avrebbe continuato a cercare la risposta.

    Si alzò, e prese i due cadaveri per la coda. Era meglio non toccarne troppo il corpo, o vi avrebbe lasciato il suo odore. Uscì dal piccolo edificio, e cercò un punto in cui il basso tetto fosse accessibile. Non c' era bisogno di scalarlo: allungandosi al massimo, con una decisa rotazione del braccio riuscì a posizionare le due carcasse sul bordo del tetto, un po' distanziate l'una dall'altra.

    Ecco. Anche se erano immobili, dopo un po' qualche rapace li avrebbe individuati, in un punto così esposto.

    Aristotele aveva ucciso, ma solo come avrebbe fatto il gufo o il falco. Lui aveva consumato il sangue, e loro la carne.

    Mentre il sangue veniva lentamente assorbito dal suo corpo, rientrò nell'edificio.
    Ora gli serviva un contenitore, qualcosa di simile ad un bacile.. sì! Quel cassetto dell'archivio, anche se malamente arrugginito, sarebbe andato benissimo.
    Srotolò dallo zaino l'espanso e riuscì con i due oggetti in mano.
    Doveva fare qualcosa di importante, che la notte precedente aveva dovuta tralasciare.. troppa confusione. Una cosa che non avrebbe potuto fare una volta in città..
    Pregare.
    Oh certo, si poteva pregare in ogni momento e situazione, é vero, ma non con il rito che intendeva in questo caso. Essere riusciti a trovare un rifugio vicino all'ultimo sprazzo di palude era un colpo di fortuna, o un gesto della Provvidenza.

    Si chinò vicino all'acqua palustre, e ne riempì il cassetto. Reclinandolo, e agitando l'acqua con la mano, cercò di far fuoriuscire la maggior parte dello sporco e del fango: ecco, ora andava bene.. non sarebbe certo passata per "pulita" in altri contesti, ma a lui bastava non fosse tutta melma e ninfee.

    Si inginocchiò sul suo espanso.
    Di fronte a lui, il piccolo porticciolo in rovina, e dopo qualche metro di melma, superate le.barche in secca, la palude. Non distanti, piccole polle d'acqua fuoriuscivano dalla terra e allagavano l'erba.
    Sulla sua diagonale sinistra, il cassetto usato come bacile.

    Si era tolto la giacca, gli occhiali e lo scaldacollo, tutto l'ambaradan che usava per nascondere il suo viso mostruoso. Aveva tenuto solo la cuffia, tirandola però all'indietro, in modo da lasciare ben scoperta la fronte.

    Inspirò profondamente.

    Il mondo attorno a lui si dissolse in uno sfondo.

    Si lavò le mani nel bacile. Le bagnò ancora, e portatele di fronte a sé, accarezzò gentilmente l'una con l'altra.
    Prese ancora dell'acqua e si segnò il cuore. Ripete poi il gesto, una volta con la bocca, una volta con la fronte.
    Purità di azione. Di spirito. Di parola. Di pensiero.
    Un rituale di purificazione, perché solo i puri potevano osannare Dio.

    C'era veramente un Dio? Non inportava. Non adesso, almeno.

    In vita Aristotele aveva vissuto facendo domande; la sua fede si manifestava con l'intelletto. La preghiera era relegata sullo sfondo, certa e assodata, tanto da essere sentita come scontata.

    Ora che la sua fede, prima così salda, si era infranta, ora che non sapeva chi era o cos'era quello in cui credeva, la preghiera era passata in primo piano.
    L'atto aveva valore di per sé, e su questa certezza Aristotele si abbarbicava, come su uno scoglio nel mezzo di un mare in tempesta.

    Si chinò tre, quattro.. una decina di volte. Ogni volta, la fronte toccava il terreno, e seguiva un attimo di pausa. In quei momenti, sentiva l'erba morbida sul suo capo, il terreno sottostante, fino alla palude e la foresta.. tutto in uno, lui parte del tutto. Era un'unica Creazione, e sentiva..voleva sentire.. di farne parte anche lui.

    Lui scacciato dal mondo degli uomini, in disperato bisogno di un senso di appartenenza.

    Nella sua mente, scorrevano silenziose vecchie formule e altre nuove, pensieri che esalatavano e rendevano grazie per il mondo stesso.

    Passarono una decina di minuti, prima che il Nosferatu si segnasse un'altra volta con l'acqua del cassetto.
    Questa volta, un augurio per la giornata, anzi notte che seguiva: che le sue azioni, le sue parole e i suoi pensieri fossero puri.

    Nessuno come un vampiro ne aveva più bisogno.

    Si rialzò, e rimise tutto a posto. Si rivestì, e diede un'occhiata alla mappa. Era tempo di proseguire il suo viaggio, e guardando l'ora, si chiese come procedere. Aveva il tempo di fare un lungo viaggio, e la cosa gli piaceva. Però, come gli conveniva procedere? Puntare dritto verso NO, o provare a cercare qualche essere umano che gli avrebbe parlato (altri senzatetto, plausibilmente) e chiedergli se aveva indicazioni sulla Città dei Topi?
    Sulla strada aveva visto una chiesa dopotutto. Forse c'era un ricovero?..
    Il dubbio si dissolse in fretta quando si ricordò delle bestie, o dei mutaforma, che popolavano quella zona. Era meglio allontanarsi il prima possibile e non farsi vedere in giro.
    Una volta raggiunti i sobborghi della città, avrebbe potuto muoversi con più calma.

    Prese tutte le sue cose, si incamminò lungo il tragitto che aveva compiuto la notte prima, per ritornare sulla strada statale nel "centro" di Jean Lafitte. Da lì, era tutta dritta fino a NO. Si muoveva deciso ma attento all'ambiente circostante e cercando di non attirare l'attenzione: nom voleva fare la fine dei due criminali della notte scorsa.

    cammino fino ad un paio di ore abbondanti prima dell'alba, seguendo la statale se non ci sono intoppi. A quel punto mi fermo per cercare un rifugio. Se ricordo bene le distanze dovrei arrivare al massimo nei quartieri esterni di NO, non in centro (che é già più in là di dove vorrei arrivare om generale, diciamo il limite massimo) , ma credo anche un po' prima.
    Nel camminare, tengo gli occhi aperti anche per
    1) una cabina telefonica. In America, almeno una volta, avevano anche un elenco telefonico all'interno. Se la Città dei Topi fosse un locale o qualcosa con telefono, potrei trovare delle tracce. L'elenco potrebbe perfi o avere delle mappe più dettagliate dei quartieri di New Orleans (che strapperei da vero vandalo)

    2) qualcuno dall'aspetto tranquillo e dimesso a cui chiedere informazioni. Un barbone, un poveraccio, una persona dall'aspetto semplice: il tipo di persona che per condizione od educazione, non ha problemi a parlare con un viandante che puzza di palude nel cuore della notte.
     
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    I due gufi salutarono il risveglio del Noseratu, e gli svolazzarono intorno osservando con attenzione il suo rituale. Del resto, aveva già fornito loro gran parte del loro pasto quotidiano, sotto forma delle carcasse delle nutrie.
    Si abbassarono di quota quando ebbe finito, giusto il tempo per salutarlo e augurargli buon viaggio.



     
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