Tempo Zero

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    Faith era in coda per il controllo bagagli. Nel trolley, tutto quello che restava della sua non-vita. In mano un biglietto per Los Angeles. Aveva sentito che lì c'era un territorio libero. Non c'erano Principi, né Sceriffi. Avrebbe potuto ricominciare la sua vita senza paura. Ma doveva sfuggire agli uomini dello Sceriffo, e per farlo avrebbe dovuto passare i controlli di sicurezza.
    I suoi documenti erano in regola? ci sarebbero stati scanner termici? Qualcuno avrebbe notato i segni deleteri della malattia?
    Mille domande, mille dubbi e incertezze. Proprio quando toccava a lei passare dal metal detector.
     
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    Il volo notturno è in attesa dei passeggeri, solo un piccolo salto a tende tirate e arriverà nella città degli angeli. I contatti smossi le hanno parlato di un nuovo stato per i Fratelli, libero dalle regole della Camarilla, in cui potrà creare una piccola nicchia sicura in cui curarsi e tornare a calcare i palchi notturni. E' un sogno in cui crede poco ma anche i vampiri hanno voglia di sogni. Ormai è quasi il momento di passare dal metal detector, niente di preoccupante, è vestita con un foulard al collo, occhiali da sole, una dolcevita nera nascosta quasi completamente da una maglia in lana leggera e ampia, jeans e stivaletti. Stringe la borsetta in mano mentre la valigia con il completo è già stata consegnata per il deposito bagagli. Guarda attorno a sè mentre la fila di persone scivola lentamente in avanti, controlla con giustificata paranoia che nessuno di conosciuto facccia strani scherzi presentandosi all'ultimo secondo per riportarla in cella, intanto avanza fino al metal detector, è il suo turno e si accinge a farsi controllare.
    Per l'occasione non ha indossato oggetti di metallo, anche la cintura è solo una cinturina decorativa in cuoio che le avvolge i fianchi, gli unci oggetti che possono darle noia al check-in sono nella borsetta: cellulare, portadocumenti in argento, monetine, specchietto, truccchi, ecc ...
     
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    Faith si preparò. Il trolley sul nastro trasportatore, ma non prima di aver tolto gli apparecchi elettronici riponendoli in una vaschetta di plastica, assieme al portafoglio e gli occhiali da sole. Osservò i suoi ultimi beni rimasti venire fagocitati dalla bocca dell'apparecchio, e avanzò per seguirli, dall'altra parte dell'indiscreto portale. Il passo esita, nell'attraversarlo. Lo sguardo dell'inserviente restava puntato su di lei, come aspettandosi un errore. Che il metal detector la cogliesse in flagrante. Ma così non fu, e la sirena restò in silenzio.
    La Brujah ritrovò il suo bagaglio all'estremità del nastro trasportatore. Anch'esso innocente.
    Recuperò tutto e si mosse per andare verso il gate.

    Signorina! Aspetti.

    Una voce alle spalle. Era il controllore che non le aveva spostato lo sguardo di dosso.
     
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    E' pronta per andarsene, muove un passo in avanti mentre inforca gli occhiali da sole rapidamente con la borsetta sotto braccio ma il richiamo del controllore dell'aereo la allerta. Si ferma immediatamente quindi si gira a tre quarti lentamente con forzata disinvoltura e pone gli occhi su di lui, lo fissa da dietro le lenti scure e passa in rassegna le proprie capacità sovrannaturali per essere pronta nel caso ne tornasse utile qualcuna. Sfoggia un sorriso cortese e distaccato e con voce stanca domadna vagamente incuriosita.

    Come? Aspetto? Mi dica pure.

    Lo invita con un cenno aperto delle mani e una movenza cauta a parlarle ma non aggiunge altro, aspetta paziente che l'altro spieghi di cosa ha bisogno tentando di dare l'impressione di essere calma ma anche di fretta, picchietta la punta dei piedi sul pavimento ma non tradisce la propria preoccupazione.
     
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    La sua carta d'identità.

    Disse l'uomo, porgendole il documento di plastica che era scivolato dalla borsetta. Non era un agente dello Sceriffo. Forse ce l'aveva fatta. Forse era libera.
    Ricevendo il documento, la punta del dito di Faith andò a toccare la pelle dell'uomo. In quel momento la Fame si fece sentire. Violenta come non mai. La Brujah doveva nutrirsi. Doveva nutrirsi tanto, e in fretta!
     
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    Prende la carta di identità sfoggiando un sorriso che in una manciata di istanti si piega, muta in una smorfia contrita e forzata mentre la mano si infila nella borsetta per mettere al sicuro il documento di identità. Le vene pulsano improvvisamente di una fame atavica, istintiva e profonda, non si preoccupa più della guardia e non la degna di un saluto ma si limita a girare i tacchi e procedere nel percorso di imbarco per non dare nell'occhio. Tocca la fronte con la mano, non sta' sudando eppure sente la schiena gelata e il corpo scossa al contempo da un fremito febbricitante che la mette a disagio, contrae i muscoli per mantenere una postura corretta, li irrigidisce per imporsi su dei principi di spasmi che vogliono prendere il sopravvento dei suoi movimenti e dopo un paio di metri è già esausta per lo sforzo. Tocca ancora la fronte, non suda eppure le pare di grondare dal sudore per lo sforzo, è intontita da un boato sordo nel proprio cervello, un'implosione che al momento le impedisce di concentrarsi su ciò che sta' facendo e le toglie il fiato, che per altro non ha.
    Preoccupata, abbandona temporaneamente l'imbarco in cerca di un bagno e avere un momento di calma in cui ricomporsi. Il pensiero dell'acqua fresca del rubinetto le da' un attimo di pace, quel che basta per focalizzare decentemente il disegno di una toilette pubblica e cominciare a dirigersi in quella direzione nonostante i dei crampi lancinanti allo stomaco la colgano senza anticipo peggio di quando aveva le mestruazioni. La fame è ... viva. La percepisce come un animale in procinto di uscire dalla gabbia e la sua volontà è l'unico chiavistello che le impedisce di spalancare la gabbia e fare strage.
    No, non lo permetterà, anche se il canto della musica che aveva sempre in testa sta' tramutandosi in un gracchiare di corvi infernali, stridenti e lugubri, non permetterà a quell'animale sanguinario di vincere sulla propria vita e sulla propria volontà.
    Prende fiato, quasi ansima, stringe le braccia al petto e sgambetta verso un bagno, evita ogni persona, ogni contatto e resta isolata per non essere inondata dall'odore della gente che, nonostante di solito le sia piacevole, ora le pare denso e disgustoso come la melassa, un mix di odori che la fanno stare male e alimentano la fame e la rabbia di ciò che si muove dentro di lei.
     
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    Facendo ricorso a tutta la forza di volontà che le rimaneva, Faith si affrettò verso il bagno. Si appoggiò con tutto il suo peso sul lavandino di ceramica bianca, e premette il pulsante che permetteva all'acqua di scorrere per breve tempo, ma sufficiente per raccoglierla con le mani a coppa e spruzzarsela sul volto. Il gesto avrebbe avuto un'utilità più che altro psicologica, che effettivamente fisica, visto che il corpo morto della Vampira era quasi più freddo dell'acqua stessa, ma ebbe l'effetto di calmarla per un'istante, prima che un attacco di tosse la colpisse. Un conato, e sul lavandino, espulso dalla sua bocca, si contorceva una creatura vermiforme, grassa e gonfia. Una larva di colore giallo scuro e maculata di nero, danzava quasi sul muco di nero sangue coagulato.
    Allarmata, Leffe si ritrasse dal lavandino, ma rimase atterrita da tutt'altro. Lo specchio davanti a lei rifletteva un'altro volto. Un'altra giovane donna, dal volto un tempo sicuramente bellissimo, ma ora emaciato, gli occhi infossati nelle orbite, i capillari degli occhi neri. Indossava uno splendido diadema, di quelli che soltanto una regina o una principessa delle favole possono portare, e una tunica leggera, quasi trasparente, che lasciava intuire le curve rinsecchite. Il uso candore macchiato dai liquidi che fuoriuscivano da bubboni mal celati. E sorrideva beffarda, quasi crudele. Fissava la Brujah con quell'espressione ribelle,come se le avesse giocato uno scherzo, o si preparasse a farne uno.

    CITAZIONE
    Mai feci qualcosa di simile in vita, ma ora provo il desiderio di dileggiare

    La scritta all'improvviso era lì, sulla superficie riflettente dello specchio. Era sempre stata lì? Scritta con un rossetto rosso che ora Faith aveva in mano?

    Il riflesso dietro la scritta ora era quello di Faith, o della pallida ombra che ne era rimasta.
    E nel cuore una sensazione nuova. Una pulsione irresistibile. Doveva opporsi all'ordine costituito. Doveva portare Caos. Doveva ribellarsi alla triste convenzione della società. Doveva risvegliare le anime con un'azione clamorosa. Doveva provocare scandalo.
     
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    Strabuzza gli occhi e legge allo specchio la frase, ritrovandosi poi con un rossetto in mano e l'allucinazione della donna riflessa nel vetro, ora spararita, che rimbomba nella mente. E' immobile, le pupille dilatate, le mani pooggiate al lavandino e ferma, tiene a bada i mille dubbi e pensieri che le danzano in testa come una tribù africana ma un concentto, o pensiero che si voglia dire, ha già alzato la prorpia bandiera nella psiche della giovane Brujah, un concetto be noto alla sua linea di sangue, talmente vicino al pensiero dei Brujah che al solo sentirne parlare Leffe riprende vigore e baldanza, la sagoma della giovane non è più china ma dritta fissa come una folle lo specchio con gli occhi vividi e i lineamenti arcigni.

    Rivoluzione.

    Sussurra all'immagine riflessa.

    Principe del cazzo e Flagello di merda, Camarilla rottinculo e torturatori, traditori della propria gente. Non scapperò in un'altra città con la coda tra le gambe. Dirò a quella puttana dello Sceriffo cosa ne penso di lei e dei suoi metodi e lo farò a Palazzo dove non potranno tappare le orecchie tutti. Dovranno rispondere delle loro accuse.

    La determinazione che dimostra ora, in un manto impalpabile di oscurità, non è certo quella dei Brujah più violenti, ma come direbbe un anziano del Clan 'se abbracci le pecore non otterrai un lupo, solo un belato più satanico'.
    Tuttavia Leffe è convinta e coinvolta, l'immagine vista quasi in allucinazione è già stata dimenticata e rimane solo il concetto di rivolta in lei, puro come la vitae nel suo corpo. Per quanto ...
    Risciacqua il viso un'altra volta e impettita da' per abbandonare il bagno e abbandonare il volo già prenotato, si dirige a ritirare il bagaglio, se possibile, o a chiederne la restituzione, decisa ad uscire dall'aereoporto per raggiugnere al più presto il Palazzo camarillico.
     
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    Ritrovata una nuova risolutezza, la Brujah si diresse di gran carriera oltre la porta del bagno, pronta per tornare fuori e affrontare la città. Ma la città non c'era più oltre quella porta, nemmeno il gate dell'aeroporto.
    Nebbia, nebbia gialla. Faith era tornata nella libreria che aveva già visitato nelle sue visioni. Muri contorti composti da libri antichi formavano un labirinto, a volto da mefitici vapori. Davanti a lei il ragazzino stava piegato sulla scrivania. Indossava una camicia bianca fuori moda, con le maniche arrotolate per evitare che si sporcassero di inchiostro. Delle bretelle impedivano che i pantaloncini corti scendessero troppo.

    Jacques... Jacques!

    Una voce di donna chiamava.

    Jacques! Jacques!

    era un richiamo dolce, come quello di una madre che esorta il figlio a raggiungere il desco del pranzo.

    Jacques. Jacques!

    Ma il ragazzino non ascoltava, impegnato com'era a scrivere, tanto che la lingua gli usciva da un angolo della bocca.
    Leffe si avvicinò al giovane, spiando oltre la sua spalla.

    JACQUES! JACQUES!

    La voce si fece all'improvviso fortissima, tanto da costringere Faith a voltarsi, convinta che la madre si fosse spostata subito dietro di lei. In realtà non c'era nessuno.
    La Brujah si voltò di nuovo verso il ragazzino, e lo trovò che si era voltato a osservarla con occhi cerchiati da occhiaie nere. In qualche frazione di secondo, il suo volto si trasformò. Un cappuccio di cenci gialli gli coprì la testa, poi il cappuccio cambiò colore, diventando rosso scarlatto e con un velo davanti alla bocca.
    Il velo cadde, e da esso scaturirono dei tentacoli che puzzavano di muffa. L'intero corpo del ragazzo si era trasformato in un mucchio di tentacoli, che strisciarono verso le caviglie di Faith, che non poteva fare altro che assistere, immobilizzata.
    Le spire l'avvolsero, finché non le coprirono occhi e faccia, consegnandola all'oscurità totale.

    Jacques! Jacques!

    Fu l'ultima cosa che udì la dj.

     
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8 replies since 3/12/2018, 22:12   116 views
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