Rifugio Rebecca Waugh

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    Rifugio
    Rebecca Becca Waugh
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    Quella di Rebecca Waugh non è, a primo impatto, la casa di una cantante famosa.
    Situata nel Garden District, la struttura esterna appare di certo più curata rispetto al contesto cittadino ma decisamente modesta: pochi gradini che fanno da rialzo, un piccolissimo portico e una panca sospesa in legno bianco svolgono il ruolo di prima accoglienza. Il trilocale mostra tutta la sua bellezza all'interno.

    Il piano inferiore è occupato quasi del tutto dall'open space cucina-soggiorno: colori chiari su pavimenti e pareti, mobilia compresa, con tocchi di colore brillanti nei dettagli stilistici (la poltrona in velluto rosso ciliegia, il vaso senape, la cornice dorata dello specchio).
    Ci sono diverse piante - di cui si occupa la coinquilina -, una televisione di discrete dimensioni e chiaramente una libreria piena zeppa di album musicali e qualche libro. In più, c'è una radio con impianto dolby surround.

    La camera di Rebecca è adiacente al soggiorno e la divisione tra gli ambienti è data da una stupenda parete vetrata, attrezzata con tendaggi oscuranti. La valigia è sempre pronta sotto la finestra.

    Il piano di sopra, a cui si giunge grazie a delle scale all'ingresso, è occupato dalla camera da letto della coinquilina di Rebecca.

    L'auto viene generalmente parcheggiata parallela al marciapiede, proprio di fronte a casa.
     
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    Iniziamo! ☺️

    Ti ricordo che questa prima parte è ambientata 4 anni indietro rispetto all'attuale presente del forum, per la precisione nel 2016. Gli eventi relativi alla vita del tuo pg avvenuti dai 24 anni in su considerali non ancora avvenuti.


    La città di New Orleans non dormiva mai, e quella era forse una delle caratteristiche che più affascinavano la maggior parte degli abitanti e dei turisti che ne affollavano le vie. Non dormiva di giorno, e non dormiva certo di notte. Specie di sabato, quando allegre combriccole affollavano i caratteristici locali del centro e le strade erano percorse da centinaia di persone sempre in vena di far festa.

    Quel sabato in particolare tra queste persone c'era Rebecca, una giovanissima e talentuosa cantante dall'animo irrequieto che aveva deciso di tuffarsi nella città desiderosa di festeggiare con alcuni amici un lavoro ben retribuito appena portato a termine. La notte era stata lunga e memorabile, avevano percorso buona parte delle strade del Quartiere Francese spostandosi di locale in locale, bevendo, cantando e divertendosi fino a notte fonda.



    Un raggio di sole fece capolino il mattino seguente attraverso la tenda mal chiusa della camera da letto di Rebecca. Un ramo leggermente mosso dal vento lo copriva di tanto in tanto. Fu proprio questo raggio di sole che andava e veniva a svegliare la ragazza, la quale rimase per qualche secondo interdetta. I bagordi della sera prima le avevano lasciato in dono un discreto mal di testa, e quel sole dritto negli occhi certo non aiutava. L'orologio vicino al letto segnava le dieci del mattino passate. Da fuori arrivava appena percepibile un sax che improvvisava in pieno stile jazz. Era con molta probabilità uno dei vicini delle abitazioni lungo la strada, dato che lo sentiva spesso provare.
     
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    Quando bevevo, dormivo senza sognare: chiudevo gli occhi e li riaprivo direttamente il giorno dopo; non era poi così male considerato l'ultimo periodo abbastanza "difficile". Non riuscivo a trovare nessun altro che volesse investire su di me. Che domande, sei a New Orleans mica a LA! la risposta della stragrande maggioranza. Come dar loro torto... New Orleans era la culla del Jazz, della musica dei neri, del rap, del voodoo. Una bianca con la voce come la mia, meno potente di uno qualsiasi dei miei fantastici colleghi neri, era svantaggiata. Appartenevo proprio ad un altro universo. I testi conquistavano tutti, così come gli arrangiamenti: poi nel vedermi - e nel sentire le voci che giravano sul mio conto nell'ambiente musicale - tutti si tiravano indietro, preferendomi sempre qualcun altro.
    Cosa mi spingesse a restare in quella città? Il desiderio ardente di riuscire a fare mio lo stile dei miei stessi vicini, quella musica che scorreva nelle vene di uomini e donne della Louisiana e che li animava coi suoi colori e leniva il loro immenso dolore. Soprattutto, essere riconosciuta per il mio messaggio: ritenevo fondamentale sottolineare quanto fosse importante il tema dell'empowerment femminile in contesti un po' retrogradi come quello delle periferie e dei sobborghi di New Orleans. Meno d'impatto ma comunque utile farlo nel Quartiere Francese.
    Dopo la scissione del primo contratto era come calato il buio sulla mia carriera; se non fosse stato per le serate nei locali e le sponsorizzazioni probabilmente avrei dovuto cominciare a pensare a trovarmi un "vero" lavoro con cui campare. Le bollette e l'affitto dovevo pagarle ogni mese, non potevo continuare a gravare sulla mia coinquilina. Era difficile, però! Tolte le precedenti premesse, quando ero abbastanza fortunata da programmare un incontro con una nuova casa discografica la maggior parte delle idee che partivano da me non andavano bene. Essere troppo diretta, troppo schietta, troppo svestita (a loro dire), troppo provocatoria poteva creare dei problemi alle piccole aziende che non potevano permettersi investimenti azzardati e rischiosi. Ora: partendo dal presupposto che le cose o si facevano come dicevo io oppure niente, ed era un gran bel cazzo problema, se mi presentavano delle scuse così idiote non potevo far altro che perdere le staffe. Da quando i rapper lanciati e seguiti da manager e case discografiche conducevano delle vite regolari? Da quando i loro testi erano poco diretti, poco provocatori, politicamente corretti? Mai. Non era la mia musica a non andar bene, ero io e ancora non avevo capito perché.
    Ecco perché ero felice di dormire senza sognare, perché di pensieri del genere era giusto liberarmi almeno per qualche ora.

    Mugugnai mentre stringevo di più le palpebre e mi muovevo nel letto, già madida di sudore, per voltarmi dall'altra parte e dormire ancora un po'. Fu tutto inutile. Non tirava un filo di vento, nonostante la finestra aperta, e ormai il sole aveva svegliato me e un terribile mal di testa. Per di più il suono di un sax vicino - troppo vicino - mi rimbombava nella testa, come distorto dall'originale e decisamente più potente e fastidioso. Dopo qualche brontolio, fu per l'insofferenza a rimanere sul materasso caldo in ogni punto che decisi finalmente di alzarmi. Scostai le lenzuola bianche e misi i piedi a terra trovando vagamente sollievo sul parquet, fresco.
    L'estate era fantastica solo se potevi stare in spiaggia tutto il giorno, ma in casa o in strada o al lavoro senza aria condizionata la storia era ben diversa. Infernale. Con una mano tra i capelli sconvolti e l'altro braccio alzato per stiracchiarmi uscii in soggiorno. Inciampai nella mia borsa, poi nelle scarpe, e vacillai pericolosamente fino al tavolo. Gran bel modo di cominciare...
    - Mi serve un'aspirina - la voce ancora bassa e roca, gli occhi impiastrati da mascara e ombretto scuro. Pensavo che a quel richiamo avrebbe risposto la mia coinquilina... ma non c'era. O meglio: ricordai che non ci fosse (era fuori città quel weekend) grazie alla scritta a caratteri cubitali lasciata sul frigo. Dovetti assottigliare lo sguardo per leggerci qualcosa.
    - Bene - sollevai le sopracciglia in un moto di stizza e sbuffai. La musica riempiva tutta la casa: lo trovavo piacevole in genere ma quel giorno, come praticamente ogni santa domenica mattina, era una fottuta tortura per la mia testa martoriata. Crollai su una sedia spostata a malapena per il rumore assordante; avevo pure sbattuto l'anca contro il tavolo.
    - Dove sono le aspirine - come se qualcuno poi potesse rispondermi. Appoggiai, stanchissima, la testa sulle braccia incrociate sul tavolo. Che sbornia che m'ero presa.
     
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    Rebecca rimase così per diversi secondi, quasi avesse trovato una posizione che lenisse in minima parte quel mal di testa e temesse che spostandosi avrebbe compromesso quel delicato equilibrio. Aveva dormito poco e male, ed ora avrebbe molto volentieri ripreso la via del letto se non fosse stata consapevole che in quelle condizioni rimettersi sotto le coperte le avrebbe solo peggiorato l'emicrania.

    Proprio in quel momento, quando aveva trovato un minimo di sollievo, il cellulare iniziò a squillare. Il suo cervello reagì a quel suono, ed il mal di testa tornò ad acuirsi, causandole addirittura una leggera nausea mentre abbandonando quella posa ormai inutile, si voltava verso la camera in cerca del suo iPhone.

    Realizzò solo a quel punto che il telefono non era in camera, bensì ancora nella borsa abbandonata sul pavimento. Un rapido calcolo delle variabili in gioco e realizzò che la batteria doveva essere ai minimi termini, considerando che aveva completamente dimenticato di metterlo in carica la sera prima.

    Il frastuono della suoneria la destò da quel pensiero, riportandola al presente. Poteva forse essere qualcuno incontrato la sera prima di cui non ricordava nulla?
     
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    Sarei rimasta in quella posizione per sempre: nonostante la luce, il caldo, persino il sassofono in sottofondo. Ero riuscita a trovare una posizione soddisfacente e pregustai - sbagliando - di recuperare qualche minuto (oppure ora, chi poteva dirlo) di sonno proprio lì, in soggiorno. Accasciata sulla sedia di legno, con la fronte appoggiata sulle mani congiunte, ignoravo addirittura il sole bruciante che mi batteva sulla schiena; il sudore ormai formava goccioline su tutto il corpo. Non avevo la forza di ribellarmi allo sfiancamento e intentare la ricerca delle aspirine mi sembrava un'impresa titanica che no, in quel preciso momento non volevo cominciare. Il desiderio di sentir svanire il cerchio alla testa e di ottenere un po' di silenzio erano come sprofondati in un abisso profondo e buio del mio stesso essere, trattenuti da una forza di gravità talmente forte da impedirgli di riemergere e prendere il controllo.
    Poi squillò il cellulare.
    Scattai a sedere come una molla, con un occhio ancora chiuso e un rivolo di saliva che colava dal lato destro della bocca. Il cuore, dal canto suo, come sul punto di esplodere in pieno petto; un occhio attento l'avrebbe chiaramente visto vibrare sottopelle, all'altezza della scollatura della canottiera bianca e umida. Detestavo quel genere di colpi, mi lasciavano addosso un senso di ansia per tutto il giorno.
    - Cazzo - blaterai mentre la sigla di Buffy mi rimbombava nelle orecchie, assordante. Non avevo idea di dove avessi lasciato il cellulare; di sicuro non era lì sul tavolo eppure le note mi arrivavano vicinissime, manco avessi l'orecchio fisso contro la l'altoparlante in funzione.
    - Cazzo - di nuovo. Dovevo rispondere, poteva essere chiunque: il mio produttore, la mia coinquilina, mia madre. Qualcuno a cui avevo lasciato il numero durante la serata e che dovevo liquidare, o sedurre se era carino abbastanza dalle foto su Instagram. Mi voltai di getto verso la mia stanza, beccandomi di conseguenza uno spaventoso capogiro e - come poteva mancare del resto - la nausea. Nel sentirlo vorticare e preparare una specie di tsunami acido, mi tappai d'istinto la bocca con la mancina e chiusi gli occhi. Mi ci vollero dei preziosi secondi di pausa e stabilità per evitare di vomitare proprio lì e ritrovarmi poi costretta a ripulire e lavare e smacchiare tutto quanto.
    Appena lo stomaco me lo permise, riavviai i capelli e mi alzai per muovere qualche passo verso la porta della camera: era lì che in genere lasciavo il cellulare: sul comodino o nella metà di letto libera. Lo controllavo la sera prima di addormentarmi e per una mezz'oretta prima di alzarmi: era fondamentale tenere sotto controllo la situazione sui social, i tag, i vari articoli... Essere sempre aggiornati era la base.
    Per gli standard di una che si era appena svegliata dopo una sbronza colossale fui anche abbastanza svelta a rovistare tra i cuscini del divano - lanciandoli via uno ad uno - e la poltrona. Intanto la sigla era ripartita.
    - Dove cazzo sei - borbottai contro il cellulare, innervosita da quell'inizio troppo turbolento. Passai allora al pavimento: inginocchiata, rovistai tra i vestiti e infine nella borsa. Il luccichio della torcia mi aiutò a individuarlo: me lo rigirai tra le mani e la prima cosa feci fu rispondere, scrollando il tasto verde verso destra. L'importante era capire chi fosse, innanzitutto.
    - Pronto - risposi, schiarendomi poi la voce.
     
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    Passò qualche secondo, come se nell'attesa la persona all'altro capo del telefono si fosse distratta a fare altro.

    Pronto?
    Buongiorno signorina Waugh, spero di non disturbarla..


    Esclamò subito poi la persona all'altro capo del telefono. Il nuero era sconosciuto, e la voce non le ricordava nessuno di familiare, sicuramente nessuno appartenente alla sua cerchia stretta di amicizie e frequentazioni.

    2020-11-29 09:58:43 Rebecca rolls 5 dice to Ascoltare (Diff 7) 2,8,8,10,9 [4 successes]


    Di una cosa la giovane poteva dirsi certa però, all'altro capo del telefono c'era un uomo - molto probabilmente afroamericano - di New Orleans.
    L'accento degli autoctoni, soprattutto dei quartieri più storici e popolari, era talmente caratteristico e marcato da essere riconoscibilissimo persino da chi, come lei, non era originario della Big Easy.

    Passarono si e no un paio di secondi, che non le bastarono neanche per riorganizzare le idee e provare a rispondere, che subito l'interlocutore la incalzò
    Sono Kermit Ruffins, magari mi conosce già...
    La chiamo perche vorrei coinvolgerla in un'iniziativa speciale.. una cosa per la città.


    Fece di nuovo una breve pausa, in cui Rebecca ebbe modo di rimuginare su quel nome rendendosi conto di averlo già sentito. Era un nome familiare, seppur non le tornasse alla mente chi potesse essere era certa che si trattasse di qualcuno piuttosto noto, quantomeno a New Orleans.


    Sono certo che visto il suo impegno nel sociale, la sua presenza sarebbe gradita a tutti... Vorrei quindi invitarla a venire qui nel mio locale a Tremé per parlarne di persona, sperando che voglia e possa prender parte all'iniziativa!

    Solo a quel punto finalmente Rebecca ebbe modo di parlare. Il mal di testa non le dava tregua, ma quella sembrava proprio una di quelle occasioni che possono rappresentare una svolta nella vita di un'artista, soprattutto per una dal temperamento difficile come lei.
     
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    La voce all'altro capo del telefono fu così squillante che per non diventare sorda dovetti allontanare l'apparecchio con fare stizzito. Niente, l'ansia avrebbe avuto il controllo di me fino a quando non mi sarei decisa a prendere dei tranquillanti. Il volume della chiamata, poi, era alto abbastanza da permettermi di sentire chiaramente perfino con l'altoparlante disattivato. In condizioni normali non ci avrei fatto caso ma in quel momento era una vera tortura.
    - No, no... - cercai di mettermi in carreggiata anche se al rilento; di fatto non riuscii a chiedergli nemmeno chi fosse, o che cosa volesse da me. Mi toccai la fronte e poi andai a coprire gli occhi con la mano libera, come se quel gesto potesse aiutarmi a tenere a bada il mal di testa, mentre ero ancora inginocchiata sul pavimento del soggiorno, tra il divano e il tavolino. Il cellulare di nuovo a distanza per ascoltare. Ne approfittai allora per controllare il display: numero non registrato e livello di batteria pericolosamente basso. Dovevo trovare il caricabatterie se non volevo che la conversazione venisse troncata sul più bello.
    Si presentò come Kermit qualcosa, di New Orleans - come facevi a non riconoscere uno di New Orleans, l'accento del sud era inconfondibile - e mi aveva cercata per coinvolgermi in un'iniziativa per la città. A quel punto, avevo tutta la motivazione necessaria per ricacciare indietro il mal di testa lancinante e mettermi davvero alla ricerca del caricabatterie mentre il signor qualcosa continuava a spiegarmi. Il telefono di nuovo vicino all'orecchio per non perdermi niente. Nascondere gli occhi dietro l'ombra della mano non fu più necessario. Nel frattempo, cominciai a rovistare nei cassetti ma senza risultato. Tornai in piedi intenzionata ad arrivare in camera mia, il caricabatterie doveva essere là.
    Il suo nome non era nuovo: da quando la nube intorno alla testa si era leggermente dissolta, la sensazione di aver già sentito il nome di Kermit (a parte il personaggio dei Muppets) si faceva via via più concreta. Kermit Ruffins, dovevo ricordarmelo e magari dopo fare una ricerca sul suo conto in internet per capire di cosa si occupasse di preciso e non arrivare lì, al suo locale come mi stava chiedendo, totalmente impreparata.
    - Lo spero anch'io, signor... Muffins, Ruffins - commisi l'imperdonabile errore di sbagliare il suo nome all'inizio, ma recuperai tanto in fretta da renderlo impercettibile. O almeno non potevo che sperarlo. Gran bell'inizio. Mi diedi una pacca punitiva (chiaramente simbolica) sulla fronte.
    - Sì, sì. Assolutamente! - non ero sicura di conoscerlo come invece avrei potuto dire di Taylor Swift o Justin Timberlake per esempio, ma che fosse uno abbastanza famoso in città sì. Forse alla casa discografica, in tv, sui giornali avevo sentito il suo nome abbastanza volte da associarlo ad una persona famosa, importante. Il suo volto però non riuscivo a focalizzarlo. Comunque, che fosse conosciuto a livello locale o nazionale poco contava nella situazione lavorativa in cui mi trovavo: mi aveva cercata e invitata a prendere parte ad un evento in città, per la città. Era un'occasione d'oro, non me la sarei fatta certo sfuggire!
    - Ne sarei onorata, davvero - conclusi. Esultai un pochino per l'offerta appena ricevuta ma dovetti bloccarmi poco dopo e di scatto quando la nausea tornò a farsi sentire.
    - Quando posso passare? -


    non so, è il caso che si tiri un dado per capire se la ricerca del caricabatterie va a buon fine?
     
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    No dai, direi che trovare il caricabatterie può essere considerato un task abbastanza easy da non richiedere il ricorso ai dadi 😂


    Kermit reagì in modo divertito all'errore di Rebecca relativo al suo cognome. Forse perche si era subito corretta in modo impacciato, forse perche semplicemente era un tipo alla mano o magari per entrambe le cose, impossibile dirlo.

    Alla risposta di Rebecca l'uomo divenne se possibile ancora più cordiale ed amichevole, evidentemente sperava davvero che la giovane cantante si unisse all'iniziativa.

    Non sa quanto mi fa piacere saperla dei nostri, Rebecca!

    Rispose con palpabile entusiasmo.
    Proprio in quel momento il cellulare vibrò, un rapido sguardo rivelò che si trattava di una notifica relativa alla batteria che stava ormai per cedere. Solo allora la mente di Rebecca ebbe un attimo di lucidità, ricordandole che il caricabatterie era quasi certamente dove lo teneva sempre, ovvero nel comodino dall'altro lato del letto.

    Le mando un SMS con l'indirizzo del locale. Mi trova quasi sempre li in questi giorni, ma per star tranquilli le conviene fare un colpo di telefono quando decide di venire per evitare un possibile viaggio a vuoto.

    A meno che non venga già oggi! Mi troverà qui al locale fino alle tre di stanotte, nel caso..


    Nel mentre Rebecca aveva raggiunto l'altro lato del letto ed era finalmente riuscita a mettere l'iPhone in carica.
     
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    Che occasione incredibile mi si era presentata! Essere contattata al telefono da un individuo di spicco a New Orleans per una collaborazione importante: wow. Rimasi in ascolto sull'uscio della mia camera mentre mi godevo la scarsa ombra della tenda, con una mano ferma sullo stomaco; mi aspettavo di sentire altri dettagli subito; insomma, morivo dalla curiosità di saperne di più e, di conseguenza, volevo mettermi a pensare alla maniera in cui avrei contribuito all'attivo in quella nuova iniziativa. Lui però era di diverso avviso: voleva parlarne di persona. L'ennesima vibrazione all'orecchio mi ricordò di dover mettere il cellulare in carica se non volevo troncare la conversazione di punto in bianco. Entrai di getto in camera e andai spedita verso il cassetto del comodino: lo aprii e trovato. Ricaddi allora seduta sul bordo del letto, gambe accavallate, sollevata nel vedere il simbolo della batteria iniziare a salire. Il rischio era stato scongiurato.
    Mr Ruffins mi sembrò cordiale e anche felice che avessi accettato. Lo sentivo dal suo tono, probabilmente aveva anche sorriso ad un certo punto. A breve mi avrebbe mandato la posizione, disse, potevo raggiungerlo quando volevo - salvo fargli un colpo di telefono per essere sicura ci fosse. Il quartiere Tremé, dov'era il suo locale, era tristemente noto alla storia per essere stato devastato dall'uragano Katrina nel 2005 e per essere il più antico quartiere afroamericano di tutta la città. Il livello delle abitazioni, tolte quelle negli edifici in cemento delle zone centrali, ricordavano esattamente quello del mio quartiere: case in legno, molto ravvicinate le une alle altre Quando me lo nominavano, però, il primo pensiero volava dritto verso Canal Street; perché? Per lo shopping, ovvio. Tralasciai per un attimo l'incertezza sull'uso del SMS. Era il 2014, gli SMS non si usavano dal 2008/2009 ormai. Instagram era la chiave, al massimo Whatsapp... Chi li usava più gli SMS?
    - Direi che è perfetto - mi ero illuminata al suo invito. Passare in serata era di certo la cosa migliore da fare: ero un'impaziente cronica, detestavo aspettare; prima avremmo parlato di quell'evento, prima avremmo preso accordi e firmato meglio sarebbe stato. Avrei avuto tutto il tempo perché l'aspirina facesse il suo effetto e presentarmi così in condizioni ottime. Magari, sarei passata proprio per Canal Street a cercare qualcosa di carino da mettere. Niente di troppo costoso... forse.
    - Sarò da lei stasera stessa, se riesco - farsi desiderare un po' era un trucchetto che funzionava il più delle volte; non volevo certo apparire ai suoi occhi come una disperata che in quella telefonata vedeva l'occasione della vita, un'ape che si fiondava sul miele. Ok, era la verità... ma perché farlo sapere anche agli altri? Poteva restare un piccolo segreto tra me e la sottoscritta.
     
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    Perfetto, spero di vederla stasera allora! Sarà un piacere fare la sua conoscenza!
    Buon proseguimento di giornata... E grazie!


    L'entusiasmo contenuto inq uella chiusura era sincero e palpabile. Quasi stranì Rebecca, la quale pur certa delle proprie doti e del proprio talento era ben consapevole di assere appena conosciuta nell'ambiente cittadino. Insomma sembrava davvero strano che un personaggio sicuramente più in vista di lei fosse cosi su di giri per essere riuscito a convencerla.

    Con la telefonata terminata un vortice di sensazioni avvolsero la giovane. La Big Easy sembrava averle messo in braccio un'occasione d'oro. Un'occasione per brillare, per farsi vedere.. Perche no, un'occasione per conoscere gente importante che potesse aiutarla a districarsi in quel mondo popolato purtroppo anche da tante doppie facce ed arrivisti pronti a tutto per scalare la vetta.

    Mentre la mente si perdeva in voli pindarici una fitta alle tempie la riportò brutalmente alla realtà, ed a quella che sembrava essere sicuramente la priorità del momento: trovare un'aspirina, ed in fretta.

    Facciamo un balzo temporale alla serata.

    Fai un post in cui riassumi brevemente le cose fatte da Rebecca (cose rilevanti fatte durante la giornata, fino alla preparazione per la serata). Poi quando Rebecca sarà pronta ci sposteremo in nuova location.
     
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    - A lei! - fu l'unica cosa che riuscii a dire a mr Ruffins, con un sorriso a trentasei denti e l'euforia alle stelle. Chiusa la telefonata (in realtà guardai il display e mi assicurai che l'avesse fatto lui), lanciai un gridolino mentre ricadevo sul letto di spalle a braccia aperte: era fantastico! Non c'erano altre parole per descriverlo. Mr Ruffins, che di sicuro era una persona importante in città anche se non ricordavo in che ambito, aveva ottenuto tutta la mia attenzione e disponibilità in pochi minuti scarsi di conversazione. Basta così poco? avrebbero potuto domandarsi alcuni. Che dire... In quel periodo della mia vita l'unica cosa di cui avessi veramente bisogno era sentire di avere la fiducia di qualcuno che non fosse la mia famiglia. Volevo essere affiancata da chi non si lasciava scoraggiare dal temperamento spigoloso e battagliero e che appoggiasse, invece, le mie lotte dandomi addirittura un palcoscenico su cui portarle. Perché era chiaro che se mi aveva scelta sapeva chi fossi, di cosa mi occupassi e come. Volevo dimostrargli che non si fosse sbagliato a puntare su di me ma soprattutto far capire a tutti gli altri cosa cazzo si fossero persi voltandomi le spalle. La mia casa discografica, il mio manager, perfino il mio ex e la band con cui ero arrivata a New Orleans poco più che ventenne. Tutti quelli che mi avevano lasciata indietro, che avevano osato dirmi Non arriverai da nessuna parte col carattere di merda che ti ritrovi, avrebbero presto realizzato quanto fossero stati stupidi a non darmi fiducia.
    Quando la testa toccò il materasso, con discreta forza per via dello slancio, fu come sentire il cervello muoversi nella calotta cranica. Il conseguente dolore mi fece esclamare un aaaaahi prolungato e basso. Chiusi gli occhi e sprofondai di nuovo nell'emicrania più tremenda che avessi provato negli ultimi giorni. Senza le aspirine non sarei andata da nessuna parte: niente lucidità mentale per informarmi sul signor Ruffins né per scegliere l'outfit giusto, tanto meno per intavolare una conversazione accattivante e confermare la mia partecipazione all'evento per il quale già morivo dalla curiosità. Non aveva voluto dirmi proprio niente... magari qualche indiscrezione sul web l'avrei trovata, chi poteva dirlo. Restando in quella posizione, dopo avere portato le mani sugli occhi e ricreato uno spazio buio in cui vagamente tentare di riprendermi, provai a mandare un sms alla mia coinquilina: lei sapeva praticamente tutto della casa. Peccato che non visualizzò il messaggio nei giusti tempi. Attesi qualche minuto prima di avere l'illuminazione della vita e ricordare che i medicinali, tutti, venivano conservati bellamente in bagno, nello specchio.

    La prima ora e mezza passò tra l'attesa che l'aspirina facesse effetto (ci volle più di mezz'ora perché fossi lucida abbastanza da sopportare qualunque cosa) e una doccia rigenerante. Ancora bagnata e avvolta nelle asciugamani tornai in soggiorno, poi comodamente seduta sul divano feci una rapida ricerca su internet.
    Digitai in fretta "Ruffins". Com'era il nome? ma cavolo, mi ero detta di ricordarlo! Feci una smorfia contrariata e passai subito ai ripari.
    Proviamo "Ruffins New Orleans" ed eccolo lì. Dopotutto mi serviva solo un piccolo suggerimento e in quello Google era il migliore di tutti. Lessi testualmente: "Kermit Ruffins, artista di New Orleans: trombettista jazz, cantante, compositore e attore". Insomma, una forza: davanti alla sua foto mi si aprì nella testa un'intera cartella di informazioni sul suo conto, nel cuore invece una serie di emozioni che prima, non avendo realizzato del tutto con chi avessi parlato al telefono, erano rimaste inespresse.
    - Oh mio dio - Dischi, collaborazioni, film: avevo sotto mano tutte le informazioni pubbliche sul signor Ruffins, perfino la posizione del suo locale e il nome a Tremé. Sorrisi e scattai in piedi: dovevo prepararmi.

    Passai l'intero pomeriggio al telefono con la mia migliore amica Edit: dovevo condividere l'entusiasmo - e i timori - per quel momento e soprattutto avere un consiglio valido su cosa mettermi. Per quello, ovviamente, ci sarebbe voluta una sessione di shopping a Canal Street. Non avrei comprato tutto l'outfit ma qualcosa di nuovo, per buon auspicio, sì. Mi ci volle un po' ma alla fine, dopo avere girato per almeno cinque negozi e una boutique, fui soddisfatta e pronta in tempo per presentarmi al locale del signor Ruffins entro un orario decente. Non aveva molto senso ritornare a casa così prima di presentarmi da lui mi sarei fermata in un bar per darmi una rinfrescata e anche una sistemata veloce al trucco - che nel frattempo doveva essersi rovinato per il caldo allucinante.


    Allora: nel testo ho scritto che Becca digita su Google il nome di Ruffins e legge, oltre alle informazioni sulla sua pagina di wikipedia, anche il nome e la posizione del locale. Se dovesse essere troppo, o fossi stata autoconclusiva in modo sbagliato, dimmelo pure così cancello o cambio. Non so se serve un tiro di dadi per farlo, essendo Kermit un personaggio pubblico e le informazioni così semplici da reperire.
    Nel dubbio... lascio questa postilla


    Edited by aquamärine - 9/12/2020, 16:00
     
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    No problem, anzi ci contavo che sia te in OFF che il tuo pg in ON faceste delle ricerche in merito, in fondo sono informazioni banalmente reperibili su internet e non reputo siano necessari tiri per ottenerle, specie per il tuo pg.


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    Nella notte ormai inoltrata una moto accompagnata da un profondo rombare spezzò la serenità del Garden District e si andò a fermare in un parcheggio ad una cinquantina di metri dal cancelletto dell'abitazione di Rebecca.

    Lei scese per prima, togliendosi il casco e rinfrescandosi subito la folta chioma. Jackson se la prese con più calma, prestando attenzione al parcheggiare correttamente il mezzo prima e a sistemare i caschi poi.

    Che peccato che la serata sia già finita!
    Esclamò rompendo per primo il silenzio, una volta terminato di sistemare la moto. Le fece quindi cenno di fare strada, non sapendo dove fosse l'abitazione di lei.

    Dal canto suo Rebecca, con ancora indosso quella giacca decisamente vissuta, aveva fin troppi pensieri per la testa. Tutto avrebbe voluto meno che quella serata si concludesse di li a poco...
     
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    Il viaggio non fu solo fisico ma anche emotivo.
    Avvolta nella sua giacca e in un abbraccio saldo (il contatto mi trasmetteva sicurezza, timore e passione tutto insieme) pensai a tutto quel che mi sarebbe piaciuto fare, a quanto l'avrei voluto rivedere. Ero quasi certa sarebbe successo, dopotutto sapevo di essere indimenticabile e ci avevo marciato sopra fin dai tempi del liceo. Una roba così, in cui nemmeno mi aveva sfiorato il pensiero di farmi desiderare un pochino, non l'avevo provata mai.

    Scesi dalla moto posandogli le mani sulle spalle e alzandomi sui due poggiapiedi laterali; una volta a terra sfilai il casco - senza però restituirglielo - e riavviai la chioma scrollando delicatamente la testa. Casa mia era poco distante: le lanciai un'occhiata veloce, sembrava tutto spento e tranquillo come l'avevo lasciato.
    Deglutii e avanzai di un passo, affiancandolo. I nostri passi, soprattutto i miei, squarciavano il silenzio inquietante.

    - Beh... non deve per forza - allusiva ma forse neanche tanto. In quella giacca ci sarebbero state comode tre versioni di me stessa; ne accarezzai il tessuto morbido e consunto in alcuni punti, ne annusai l'odore come a volerlo marchiare a fuoco nelle narici e ricordarlo, riconoscerlo anche tra mille altri simili. Mi fermai davanti al cancelletto (o due passi prima all'incirca) e mi voltai verso di lui. Non avrei elemosinato, chiaramente avevo un'orgoglio grosso quanto Everest e K2 sovrapposti che andava bellamente a farsi fottere per il desiderio lampante che avevo di lui, in generale e quindi mi fermai lì. A pochi passi da casa, da lui, da tutto.
    - Io non voglio. Tu vuoi? I tuoi impegni sono proprio improrogabili o credi possano resistere senza di te ancora per un po'? -
     
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    Jackson rimase fermo ad osservarla mentre Rebecca cercava di convincerlo a restare in sua compagnia e prolungare quella serata. Serata che ormai aveva lasciato il posto alla notte inoltrata, visto che l'orologio segnava le due e mezza passate.

    La strada era praticamente deserta, il silenzio era rotto esclusivamente dai loro passi, dalle loro poche parole e dal rumore del vento che smuoveva le fronde stanche degli alberi.

    Lo sguardo che O'Neill dedicò alla giovane mentre questa parlava era amorevole ma al contempo dispiaciuto. Segui un breve silenzio, in cui Rebecca potè scorgere appena quello che era un infinito treno di pensieri che correvano nella mente dell'altro.

    2021-01-27 08:58:12 Rebecca rolls 4 dice to Empatia (Diff 6) 8,6,1,2 [1 succ.]

    EDIT: Corretta diff, avevo sbagliato ad impostarla.


    Seppur fosse condizionata dalle emozioni che stava vivendo, colse una nota di rammarico, di indecisione, nell'altro. Forse era quello il motivo di quel silenzio, di quel momento di riflessione di lui?

    Passarono non più di un paio di secondi, poi Jackson allungò un braccio in direzione di lei, facendole una leggera carezza col dorso delle dita sulla guancia sinistra, gesto simile a quello che aveva fatto qualche ora prima nel locale di Kermit.

    Neanche io lo voglio piccola...
    Rispose con tono sommesso.

    La mano dopo essere scivolata lungo la guancia si aprì, insinuandosi sotto ai capelli di lei, andando a posarsi sul collo. Un brivido gelido le corse lungo la schiena, un mix di passione e paura. Era una carezza, un gesto amorevole. Eppure quando quella mano si posò sul collo, passando dalla delicata carezza a qualcosa di diverso, lei ebbe un'istintiva reazione fisica. Sentì dentro una scintilla di terrore puro nascere e sciogliersi quasi immediatamente in eccitazione. La cosa fu talmente veloce da lasciarle solo una potente scarica di adrenalina.

    Le dita di lui si aprirono andando ad afferrare con delicata bramosia il lato del collo, fino alla nuca. L'espressione del viso cambiò leggermente, diventando fremente.

    Ma ci saranno altre notti... Molte altre notti per noi, non temere.
    Aggiunse poi, quasi sussurrando, mentre i suoi occhi glaciali le scrutavano le labbra.

    Rebecca era sopraffatta dalla situazione e non riuscì - almeno non subito - a formulare una risposta. Con un gesto lento e volutamente sensuale Jackson spostò infatti il pollice della mano con cui la stava afferrando dall'altro lato del mento, facendoglielo scorrere sul labbro inferiore, osservando con desiderio la sua bocca.

    Sebbene contrariata dal rifiuto di lui a proseguire la serata visti i propri impegni, quel gesto la fece sussultare, lasciandola totalmente e volutamente in balia dell'altro. Il vortice emotivo e di eccitazione era tale che Rebecca si ritrovò ad essere come un burattino pronto ad assumere qualsiasi posa i fili le avessero imposto.

    Il rosso a quel punto fece una leggera pressione col pollice cosi che lei spostasse leggermente la testa in alto verso sinistra, scoprendo il collo sul lato destro. Proprio li andò l'attenzione di lui, che in un attimo che a Rebecca parve durare un secolo, azzerò la distanza tra i due, cingendola con l'altra mano all'altezza del fianco e tenendola stretta a se, iniziando a baciarla sul collo...

    Di colpo una sensazione mai provata prima si irradiò lungo ogni fibra del suo corpo, partendo proprio dal collo. Neanche il più appagante degli orgasmi che aveva raggiunto l'aveva mai fatta sentire cosi. L'estasi di quei momenti fu tanto improvvisa quanto travolgente. In quel vortice di sensazioni il suo cervello si ritrovò totalmente sopraffatto, quel leggero dolore al collo, forse causato da un delicato morso da parte di lui, l'aveva letteralmente fatta arrivare sulla Luna, e per diversi secondi rimase estraniata a se stessa, come sospesa e racchiusa in un bozzolo al cui interno c'erano solo la sua coscienza e quell'immenso piacere fisico.

    Quanto durò quel momento, cosi come cosa successe di preciso negli istanti appena successivi la sua conclusione era praticamente impossibile per Rebecca da stabilire. Era troppo sopraffatta e confusa da quanto aveva appena vissuto, al punto da avere persino dei giramenti di testa e sentirsi sfiancata.

    Jackson continuando a tenerla stretta - quasi a sorreggerla - la guardò di nuovo negli occhi, lo sguardo di lui era visibilmente appagato, mentre quello di lei rispetto a pochi secondi prima si era fatto spento e stanco, seppur mai cosi pieno d'amore.

    E'ora di andare a nanna per te... Ma ti prometto che ci rivedremo, presto.
    Le assicurò con fare protettivo ed amorevole, continuando a tenere i suoi occhi glaciali fissi su di lei.
     
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