Rifugio Olivia "Liv Dawkins" Smith

La domanda è: può farcela?

Ogni notte, dopo aver provato quella sorta di attacco di cuore al contrario che con dolore la riporta nel mondo dei vivi, Liv Dawkins si trascina in bagno e, davanti allo specchio, si pone questa domanda.

La risposta è breve, semplice e a lei ben nota; eppure, ogni volta che giunge il momento di darsela, la ragazza esita sempre: un istante che, un giorno, potrebbe rivelarsi fatale per lei.

"Certo che sì."

È un rituale, il suo, che si consuma nell'intimità del suo rifugio da parecchie notti a questa parte; una routine necessaria e propedeutica all'andare avanti nella sua non-vita. Pochi minuti, durante i quali, al ritmo di un beat ispiratore, Liv si osserva davanti alla superficie riflettente ciondolando, muovendo le spalle avanti e indietro ed esibendo il suo miglior repertorio di facce da dura come se fosse il Travis Bickle del nuovo millennio. Poi, una volta scesa nel mood che le permetterà di indossare la sua maschera, conta fino a dieci.

Questa sera, a darle l'attacco sono gli Apollo 440, con un misto di jazz di strada e musica elettronica d'altri tempi. Mentre il cantante invita tutti gli ascoltatori ad abbeverarsi ai cinque minuti di saggezza che di lì a poco satureranno l'aria, Liv fissa le sue fattezze con intensità tale che la fantasia la porta a immaginare che gli occhi le schizzino fuori dalle orbite.

"Al dieci, diventerai la più dura dei duri. La più furba dei furbi."

Deve crederci, la cara Liv. Deve crederci con tutta sé stessa, e in fretta.
Dopotutto, come canta Mr. Four Forty in persona, Time is running out.

Time is running out.

È a corto di tempo, sì, proprio lei: è a corto di tempo, a dispetto - anzi, forse proprio a causa dell'immortalità inflitta su di lei. Un battito volontario di ciglia, e una notte passa come niente per lei. Una notte, due, sette, trenta, novanta. Due anni. Il tempo le sfugge via, passa davanti ai suoi occhi come uno sconosciuto che stringe la mano, abbraccia e porta via con sé tutte le persone a lei vicine e a lei care.

"Heh."

Liv prende fiato, solo per espellerlo sonoramente dalle narici poco prima che la sua mente raggiunga il fatidico "dieci".

È sempre in guerra, lei. E se ora non lo è più contro i morsi della fame e le intemperie, lo è contro l'orologio.
Sempre in guerra, e sempre sul punto di perdere...anche se non può darlo a vedere. Questo non cambia, nella vita così come in qualsiasi cosa si trovi adesso. Liv lo nota, e sbuffa con amarezza dal naso.

Ha inizio una nuova notte, e la ragazza è pronta a uscire. Messa su la prima combinazione di jeans, maglietta e giacca di tuta da ginnastica con cappuccio che vede, prende chiavi di casa e dieci dollari, due cellulari, uno smartphone e un prepagato. Il tutto viene messo nello zaino, un anonimo monospalla che assicura alla sua persona. Dopodiché, si avvicina alla bici, si assicura che al telaio vi sia attaccato il catenaccio a combinazione, che il borsello con le chiavi esagonali posto sotto il sellino sia ben stretto. Infine, al netto di stranezze o imprevisti che la distraggano dai suoi intenti, prende il velocipede ed esce di casa, chiudendosi la porta alle spalle. Prossima fermata, il quartiere francese.

E invece, la stranezza o l'imprevisto che la distrae dal suo intento arriva eccome.

Sono poche, semplici parole - undici, per l'esattezza - la cui mera esistenza basta per incrinare la maschera indossata con tanta cura dalla ragazza, che ora impreca a denti stretti, torna nel trogolo che è il soggiorno di casa sua e si lascia cadere sulla mezza sedia.

Ad impensierirla non è il fatto che un Fratello abbia ottenuto il suo contatto - bensì il fatto stesso che abbia deciso di chiamare.

Ma perché?

Liz perde un paio di minuti per riflettere sulla faccenda. Si è nutrita dove non doveva nutrirsi? Ha violato la Prima Tradizione? Ha pestato i piedi alla persona sbagliata? Cosa può aver fatto per attirare le attenzioni di un Fratello che si trova sopra di lei nella catena alimentare?

Come si pone quest'ultima domanda, però, riacquista un po' di calma. Tenendo a mente l'ultimo dato macinato dalla sua testa, ha davvero senso marcire nel bayou dell'ignavia?

Rilegge il messaggio, si sofferma sulla parola "cortesemente" e impreca ancora.

No che non ce l'ha.

Tira fuori il prepagato messo poc'anzi nello zaino e compone il numero da cui le è arrivato il messaggio. Poi, dopo aver sentito un pronto giungere dall'altro lato del telefono - o dopo qualche secondo di snervante silenzio, a seconda dell'inclinazione dell'interlocutore - prende la parola:

«Parla Liv Dawkins. Ho ricevuto un messaggio da questo numero, mi hanno detto di chiamare.»

Pesante accento del sud, grammatica incerta e costanti dubbi su verbi e cortesie varie da applicare nel parlato: se non stesse cercando di fingere di avere il controllo di sé, Liv si rintanerebbe nelle fondamenta, terrorizzata dallo spettro che è l'etichetta cainita.

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L'attacco del suo interlocutore è quanto di più strano abbia mai sentito - laddove la linea sicura, per quanto suoni come una roba da film, la parte sulla telefonata non registrabile oscilla tra l'assurdo e il talmente superfluo da rasentare il paranoico - ma il seguito è anche peggiore.

Liv vorrebbe parlare, ma quelle che ora ha capito essere misure precauzionali da parte del braccio armato della legge la mettono sul chi vive, impedendole di esprimersi come vorrebbe.

«Quando preferite, signor Banks.»

Risponde, cercando di mantenere quel minimo di tatto sufficiente a mantenere la sceneggiata, a far credere - forse a sé stessa - che abbia davvero la facoltà di scegliere.

«Ditemi solo se devo vestirmi elegante.»